Otto album all’attivo più una raccolta, un numero non quantificabile di “cassette” vendute, tre film, un programma televisivo dagli ascolti altissimi e, udite udite, a consolidare una carriera senza bassi, un’autobiografia scritta a quattro mani con il professor Ignazio Senatore per Graus Edizioni. Tony Tammaro, figlio d’arte, è prima dj nei più rinomati locali partenopei, carriera per la quale rinuncia ad un avviato lavoro nell’editoria. Poi cantautore e narratore dell’epica tamarra in the world.

 

(Più di) Trent’anni di carriera vissuti intensamente. Ma com’è cominciato tutto? Soprattutto il tuo illustre genitore che pensava di Tony Tammaro?
Mio padre (Egisto Sarnelli, chansonnier di classici napoletani e di canzoni francesi) possedeva un’immensa libreria su un unico argomento: “la canzone classica napoletana”. Sono cresciuto leggendo i testi e ascoltando le musiche dei grandi autori del passato. A un certo punto non ne ho potuto più di leggere e ascoltare gli altri e ho cominciato a scrivere le mie cose collocandomi nel settore di nicchia della “macchietta napoletana” e mi è andata così bene che ho cominciato a superare il genitore in popolarità. A mio padre le mie canzoni non piacevano, ma poi se n’è fatta una ragione, tanto è vero che curò la regia del mio primo sold out al Palapartenope di Napoli 30 anni fa.

Sei dovuto passare più volte per tutti i comuni campani prima di fare il “salto” in Italia. Ma da lì sei volato a Parigi, Lisbona e dove ancora? Ti mancano solo Mosca e San Pietroburgo per superare Al Bano…

Per l’Est ci stiamo attrezzando. Alla fine a me basta un pubblico di meridionali per organizzare uno spettacolo all’estero e i meridionali sono ovunque, probabilmente anche a Mosca.

Non sono mancate le lectio magistralis in diverse Università italiane. Sei stato invitato come “tamarrologo” o per quali altre competenze o motivazioni?

In quelle circostanze ho parlato dei più svariati argomenti: della filiera produttiva della musica leggera alla facoltà Economia e Commercio di Capua o del mondo della pirateria musicale alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli. Alla facoltà di Lettere della Federico II parlai della poetica e dell’uso delle rime nella canzone classica napoletana.

Ti sei mai chiesto quali sono le ragioni del tuo successo? Nel senso, come fanno le tue canzoni a mobilitare quasi tre generazioni di insospettabili “tamarri”? Può dipendere dalla tua capacità di analizzare i comportamenti al limite del patologico dell’essere umano?

Ho cercato anch’io spesso le motivazioni di questo fenomeno. Da un lato c’è il fatto che canto in dialetto o, meglio, in lingua napoletana e a noi napoletani fa sempre piacere ascoltare la nostra lingua piuttosto che l’italiano. In più c’è il fatto che ognuno di noi può riconoscersi in certi episodi di vita vissuta che ho narrato, tipo quello del portiere che da bambini ci bucava il pallone mentre giocavamo in cortile o delle tante frittatine di maccheroni che abbiamo consumato in spiaggia. Infine, c’è che una sana risata ogni tanto fa bene a tutti.

Come si è evoluta la figura del “tamarro” dall’inizio della tua carriera? Dalla frittata di maccheroni al SUV che trasformazione c’è stata? Io preferivo il tamarro del passato, più genuino e meno violento…

Assolutamente lo preferivo anch’io. Oggi il tamarro è spesso violento e imbottito di droga. C’è stata un’involuzione del tamarro.

Anni fa traevi ispirazione per i tuoi testi da quel teatro a scena aperta che è Napoli, girovagando con la “visparella” e lasciandoti ispirare da quello che ti accadeva intorno. Oggi basta fare un giro su TikTok (purtroppo) per trovare una realtà che supera ogni fantasia. Quanto utilizzi i social per sondare usi e costumi dei tuoi personaggi e delle tue ambientazioni?

I social li uso tantissimo. Passo quasi sei ore al giorno a rispondere ai miei fans e a documentarmi. Da Facebook in poi, non ho più bisogno di andare in giro con la vespa per cercare personaggi e situazioni da descrivere nelle canzoni. Li trovo belli e pronti sullo schermo del mio smartphone.

L’anno scorso hai festeggiato i 30 anni di carriera (più o meno) con la Notte dei Tamarri, mega evento organizzato nei minimi dettagli al Palapartenope di Napoli. Quest’anno la festa raddoppia con la Notte dei Tamarri 2. Che spettacolo sarà quello del 27 dicembre? E soprattutto la Notte dei Tamarri è diventata ormai una festa tra le feste comandate a tutti gli effetti?

Quest’anno sarà una specie di “Tammaro and friends”. Tantissimi colleghi (non necessariamente tamarri) verranno a trovarmi. In più avrò degli sgargianti costumi di scena e ho fatto preparare una “bomboniera” da regalare a tutti i 3200 spettatori.

Come si pone il tuo personaggio nei confronti del nostro essere donna oggi? Ah no, scusa, questa era per un altro Maestro! A proposito, a quando una “Patrizia” in jazz…? Ormai tutto quello che è “…in jazz” fa tendenza…

Beh, col jazz mi sono cimentato e ho anche suonato discretamente la chitarra semiacustica (quella da jazzista) nel brano ‘E quatt’a notte contenuto nell’album “Yes I cant” del 2010.

Un grande in bocca al lupo per la Notte dei Tamarri e massimo rispetto per tua carriera!

Crepi il lupo, così la lupa resta vedova e si prende la pensione di reversibilità.