Facciamo il giro del mondo a bordo del futuro, il futuro della tecnica che tanto si aggrappa a stilemi passati o, per meglio dire, classici. Quella tecnica che oggi ci porta in fuga altrove stando comodamente seduti sul divano di casa. Sono gli Humble, progetto di nuova vita a firma di Umberto De Candia e Enrico Zurma. Un primo disco che punta subito in alto: “Gateway” che è contaminazione pura e più di tutto è libertà espressiva di genere e di forma. Dal funk al jazz, all’elettronica che cerca il pop fin dentro le soluzioni esotiche. E si fa il giro del mondo… o forse solo di una parte di mondo. Il risultato è che questo disco è assai prezioso e non vale l’attenzione scarna che spesso si dà alle produzioni d’esordio…

 

 

Bellissima produzione, complimenti. Suono suonato… che di tanto in tanto si rifugia dentro soluzioni digitali o sbaglio?

Umberto: credo che il nostro progetto non sarebbe potuto esistere senza il digitale. Ci ha dato la possibilità di poterci esprimere senza pensare ad alcuni costi e ha fatto la differenza.

Enrico: il digitale è ormai un grande strumento per poter produrre musica per chi non può permettersi ore di registrazione prenotate in studio.

Ormai anche a casa informandosi sulle cose giuste e sperimentando si può fare veramente molto (vedi Billie Eilish e Finneas).

 

Calandoci nel dettaglio, come ci avete lavorato? Quanta produzione è stata misurata in modo artigianale e quanto spazio avete lasciato all’improvvisazione?

Umberto: qualcosa di improvvisato c’è, soprattutto ai primi stadi di scrittura, ma “Gateway” è comunque il frutto di 2 anni di lavoro parecchio intensi in cui abbiamo lasciato poco al caso.

Enrico: di improvvisato ci sono le idee che abbiamo lasciato fluire, quando magari ci eravamo prefissati una direzione a livello di giro di accordi o di melodia, a volte il momento porta nella direzione giusta in poco tempo confronto ad una mossa studiata da giorni.

 

 

Nella scrittura come avete abbracciato tanti stili diversi? Siete andati di istinto oppure avete ben misurato le parti?

Umberto: io ed Enrico abbiamo suonato talmente tanto insieme in questi anni da esplorare diversi generi, crescendoci e studiandoli negli anni. I vari generi toccati sono un sunto di dove siamo arrivati finora

Enrico: certi brani vengono da mie forti preferenze musicali, altri ho abbracciato la sfida di provare ad addentrarmi in percorsi nuovi, anche sbattendo la testa più volte.

 

Nello specifico mi incuriosisce sentire come dentro uno stesso disco c’è un pezzo come “Chicago” e poi “Venezia”. Quest’ultimo è davvero ancora agli anni ’50… vero?

Umberto: io volevo essere come Sam Cooke. Forse si é sentito troppo.

Enrico: colpa di Umberto, io sono andato per John Mayer.

 

Citazioni di stile? Radici e ispirazioni? Una panoramica di questo disco così multi-etnico?

Umberto: mi fa sorridere come ognuno ci veda dentro stili, cantanti ed artisti diversi, di brano in brano, io ho avuto ispirazioni precise che qualcuno ha indovinato (Timberlake, Usher, Bruno Mars per le parti cantate e molto hip hop anni 90 per le parti più rap), ma mi piace tantissimo sapere cosa ci hanno sentito gli altri.

Enrico: le radici sono la discomusic, principalmente Nile Rodgers, l’ispirazione è Tom Misch, il neo soul combinato a moltre altre cose, funk, hip-hop, strutture jazz e anche qualcosa di pop per certi versi.