Un disco come “Coming in Bunches” coglie l’attenzione sin da subito. Sembra un gioco, un esperimento di scena, poi sembra un esercizio di stile retrò, un contenitore dentro cui fare ricerca e sperimentare sensazioni. Il rock’n’roll poi il surf ma anche gocce di psichedelia e scenari distopici. Un disco in presa diretta per gli Unkle Kook, un disco analogico, su nastro, di pancia e di mani come dice la didascalia.

 

 

Partiamo dalla produzione. In presa diretta, radici di antichi modi… il suono suonato. Un manifesto contro il progresso?

Assolutamente no, non credo sia il progresso una connotazione creativa. Al massimo sono gli strumenti del progresso che possono essere sfruttati a fini creativi ma credo che al rock‘n‘roll bastino suoni con una ricchezza armonica che ha raggiunto il suo apice di progresso e non è ancora stato superato. Si pensi alla chitarra elettrica, sono i chitarristi che la fanno progredire, basti pensare che spesso si prediligono strumenti vecchi di cinquant’anni proprio per le caratteristiche sonore.

E dunque in questa presa diretta avete mai lasciato l’imperfezione a testimoniare l’umanità in luogo di correzioni che oggi si fanno con un click?

Nel disco ci sono molte imperfezioni che compongono i brani, Rango ne è un esempio visto che per le caratteristiche espressive non si usa il click (del metronomo in questo caso).

Dal surf a certi origami dai Balcani. Il rock su tutto in varie salse. Dall’Italia?

Dall’Italia al momento nessuna convocazione ma stiamo facendo amicizia.

E poi il contributo di psichedelia non manca… la copertina prima di tutto. Come la leggiamo?

Un deserto libero da ogni essere vivente. Le lucertole sono l’unico essere sopravvissuto ad una catastrofe. Chissà che non riescano a fare meglio dell’essere umano.

E dopo tutto questo tempo non ancora troviamo un video ufficiale… un disco simile ha un forte potere visionario però… ci state pensando?

Certamente ci stiamo pensando, ci siamo infilati in idee pretenziose. Questione di tempo…