Sound Raid Archivi - Sound Contest https://www.soundcontest.com/category/speciali/sound-raid/ Musica e altri linguaggi Sun, 06 Dec 2020 18:03:25 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.1 MELVINS / METALLICA https://www.soundcontest.com/melvins-metallica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=melvins-metallica Tue, 17 Apr 2012 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/melvins-metallica/ L’allucinato “slow/sludge metal” dei seminali Melvins e il colossale “speed/thrash metal” dei sempiterni Metallica. Due formazioni storiche dalla carriera trentennale, all’insegna di un rock estremo ma rivoluzionario, scisso tra le sembianze di un culto solo apparentemente sotterraneo e di un successo miliardario a livello planetario. Un medesimo canone di partenza veicolato attraverso due differenti paradigmi […]

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L’allucinato “slow/sludge metal” dei seminali Melvins e il colossale “speed/thrash metal” dei sempiterni Metallica. Due formazioni storiche dalla carriera trentennale, all’insegna di un rock estremo ma rivoluzionario, scisso tra le sembianze di un culto solo apparentemente sotterraneo e di un successo miliardario a livello planetario. Un medesimo canone di partenza veicolato attraverso due differenti paradigmi espressivi, ben esplicati dagli ultimi e recenti EP delle due band statunitensi. In entrambi i casi si tratta anche di un ritorno a casa, al marchio di fabbrica e al suono delle origini, anche se, a ben a ascoltare, coloro che vi riescono meglio sono decisamente i Melvins.

 

 

 

MELVINS:The Bulls And The Bees

Scion A/V Records (2012)

Voto: 7/10

 

Su certe leggende musicali si puo’ parlare e discutere finche’ si vuole. Nel bene e nel male (perche’ qualche passo falso l’hanno commesso pure loro) i Melvins restano un’incrollabile certezza e sicurezza. Da sempre uguali solo a essi stessi, King Buzzo e soci hanno cavalcato, in quasi trent’anni di carriera, mode, etichette e scene con rara coerenza e onesta’. Il loro e’ un suono riconoscibile, unico ed incompromissorio nonostante una certa dose di volontaria ripetitivita’. D’altronde, dopo una ventina di album in studio, una pletora di singoli, EP e tanti dischi dal vivo, sorprendere e’ un’impresa quasi impossibile. Eppure la band californiana originaria di Aberdeen (WA) qualcosa di nuovo e interessante in questo The Bulls And The Bees – disponibile in download gratuito sul sito dell’etichetta della Toyota (!?!), la Scion Audio Visual – riesce abilmente ad offrirlo. Non fosse altro che per delle strutture armonico-vocali allarmanti e avvolgenti, dipanate sul consueto lugubre mantra di riff chitarristici motosega, bassi cupi e abissali e ritmi tonanti temperati nell’acciaio. L’iniziale The War On Wisdom e’ un formidabile sabba marziale e liturgico, caratterizzato nel baricentro da un bellissimo coro. Seguono poi We Are Doomed e Friends Before Larry, laddove la prima si sviluppa in modo epicamente lento e pachidermico (e anche qui le parti vocali fanno la loro bella figura e differenza) per poi slabbrarsi nel “noise-doom” piu’ tetro e lancinante, mentre la seconda si rivela una ghironda “sludge-doom” ronzante e agghiacciante, introdotta da echi ed effetti rumoristicamente spettrali e luciferini. È il viatico giusto per il brano piu’ sperimentale e ascetico del lotto, A Really Long Wait, un manicheo viaggio “ambient” nei bassifondi dell’arcano, segnato da archi celestiali e cori neumatici e melismatici che ricalcano lo stile liturgico gregoriano. Inversamente poderosa, aggressiva ma piu’ accessibile e’ invece la traccia conclusiva, National Hamster. Una delle canzoni piu’ belle recentemente scritte dai Melvins, costruita su sciamannati riff “heavy hard rock” e deviate melodie psych-pop. Brutale e cattivo ma anche ironico e ilare, il gruppo mantiene, insomma, il suo peculiare carisma. Resta solo da attendere fiduciosi l’annunciato nuovo album Freak Puke intestato al side project Melvins Lite, vale a dire King Buzzo e Dale Crover coadiuvati dal bassista Trevor Dunn.

 

 

 

METALLICA: Beyond Magnetic

Vertigo Records (2012)

Voto: 6/10

Anch’esso proposto in versione download digitale (gratuito solo per il fan club), Beyond Magnetic raccoglie quattro tracce inedite, per quasi mezz’ora di durata, incise nel marzo 2008 durante le session dell’album Death Magnetic. Un modo per risalire la china e rientrare nelle grazie di quanti (tanti, troppi) tra critici e fedelissimi avevano negativamente accolto e criticato il quartetto californiano all’indomani della pubblicazione di Lulu (Vertigo, 2011), il fantomatico doppio album suonato e inciso in collaborazione con Lou Reed. Il tenore e il sound di questo materiale di risulta rimandano chiaramente al periodo e alle atmosfere del disco madre, astuta operazione di retroguardia “speed-thrash” che cerco’ il contatto con l’ispirata fase rivoluzionaria delle origini. La verita’ e’ che i Metallica, come accade a chi nel “music biz” ha avuto tutto e ha frantumato record di vendite e popolarita’, si trovano in una preoccupante situazione di stallo e impasse creativo. Nel terzo millennio ormai avviato fanno ancora molta fatica a rinnovarsi e a trovare una direttiva stilistica convincente che li riporti ai fasti di Master Of Puppets o al fulgore del mitico Black Album. In tal senso le architetture mid-tempo e medievaleggianti di Hate Train, gli anthemici riff, assalti e chorus di Just A Bullet Away, il motivo melodico cadenzato e strumentalmente cesellato di Hell And Back suonano ridicolmente ovvi, iperdatati e strasentiti. A metterci dentro pathos e grinta sembrano solo James Hetfield (che a prescindere dal canto sempre originale, drammatico e intenso si palesa chitarristicamente piu’ in vena rispetto all’axe-man ufficiale Kirk Hammett) e l’inossidabile Lars Ulrich, dispensatore di bestiali scudisciate su piatti e pelli. Si giunge cosi’, senza infamia a senza lode, alla conclusiva Rebel Of Babylon, suite “prog-thrash” che nello spazio di otto minuti vede il quartetto melinare e palleggiare su prevedibili “stop-and-go” terribilmente ancorati all’era NWOBHMa degli anni Ottanta. A questo punto auguriamoci solo che Rick Rubin aiuti subito il gruppo a ritrovare una nuova identita’ e divinita’.

 

Links:

Melvins: www.melvins.com

Metallica: www.metallica.com

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RED RED MEAT / CALIFONE https://www.soundcontest.com/red-red-meat-califone/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=red-red-meat-califone Fri, 09 Oct 2009 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/red-red-meat-califone/ Si puo’ ormai affermare con certezza che la rivoluzione ed evoluzione del rock alternativo dell’ultimo decennio stia anche nella riconquista delle radici, nel desiderio di folk, country e blues che permea non solo certo songwriting e “weird pop-rock” dei giorni nostri ma anche quelle che un tempo erano espressioni sonore piu’ estreme e sperimentali. Non […]

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Si puo’ ormai affermare con certezza che la rivoluzione ed evoluzione del rock alternativo dell’ultimo decennio stia anche nella riconquista delle radici, nel desiderio di folk, country e blues che permea non solo certo songwriting e “weird pop-rock” dei giorni nostri ma anche quelle che un tempo erano espressioni sonore piu’ estreme e sperimentali. Non e’ un caso, infatti, che alcuni dei dischi piu’ belli e dei progetti piu’ interessanti usciti nell’ultima decade abbiano fatto leva soprattutto su tali ingredienti ed elementi, inseguendo e rivoltando l’Old Time Music vuoi con l’elettronica, vuoi con ordinari armamentari elettrici e/o acustici. Tra coloro che gia’ battevano tali sentieri in tempi lontani e non sospetti (a cavallo tra gli ultimi carboni ardenti del “grunge” e le prime scintille del “post rock”) c’erano proprio i Red Red Meat di Chicago, band del cantante e polistrumentista Tim Rutili che nel 1998 diede vita ai Califone, “solo side-project” divenuto poi principale occupazione di Rutili e gruppo erede dei disciolti Red Red Meat. Destino vuole che passato e presente di Rutili e soci siano adesso sul mercato discografico uno accanto all’altro, avendo la Sub Pop ristampato la scorsa primavera Bunny Gets Paid, terzo album dei Red Red Meat, ed essendo stato appena pubblicato All My Friends Are Funeral Singers, ultimissimo nuovo lavoro dei Califone. L’occasione giusta per cogliere dalla stessa pianta sia le gemme che i deliziosi frutti di un caposaldo di quella scena indie rock che guarda sempre piu’ alla tradizione per poter produrre innovazione.       


 


 





RED RED MEAT: Bunny Gets Paid (Deluxe Edition)


Sub Pop (2009) – distr. Audioglobe


Voto: 8/10


 











Pubblicato nel 1995, Bunny Gets Paid e’ fermamente considerato dai tipi della Sub Pop una delle punte di diamante del proprio catalogo. Cio’ spiega la speciale cura applicata a questa ristampa, che oltre a una versione rimasterizzata degli undici pezzi dell’album originale offre in un altro dischetto sette “bonus tracks” tra versioni remissate, demo e brani inediti provenienti dalle medesime session di registrazione. La formula sonora dei Red Red Meat (Tim Rutili, Tim Hurley, Ben Massarella e Brian Deck) si e’ gia’ affrancata dal vigoroso grunge-blues del primo omonimo album (Sub Pop, 1993) e dai fantasmi rollingstoniani era Exile On Main Street che infestavano l’acida paranoia del secondo Jimmywine Majestic (Sub Pop, 1994). In Bunny Gets Paid l’ossessione del blues e la venerazione del folk diventano una lisergica e narcolettica astrazione art rock, una via di mezzo tra la surreale concezione delle dodici battute della Magic Band di Captain Beefheart e la decadente spettralita’ rock dei Velvet Underground di Lou Reed. Il disco sembra prender forma e forza da un sublime equilibrio precario, dove il suono aguzzo e metallico delle corde di chitarra, la voce ubriaca e indolente e il timbro stesso della batteria hanno l’odore acre e amarognolo delle paludi e il colore bruno della ruggine. Rivoli di feedback e grumi di distorsione accompagnano una sfocata melodia di piano, un canto svogliato e una batteria al ralenti in quel deformante e acido capolavoro intitolato Sad Cadillac. Il bordone elettronico ma scheletrico e le pennate soporifere della slide guitar di Carpet Of Horses trasmettono un’intensita’ scovolgente, al limite della bassa fedelta’, Chain Chain Chain sembra rock-blues cucinato in salsa Nirvana, mentre le radici si mescolano a follia e cacofonia in Rosewood, Stax, Volts And Glitt. Non per nulla i Red Red Meat provengono da Chicago, nel loro sound il retaggio e lo spirito del blues (in tutte le sue chiavi e sfumature) sono chiarissimi, aggiornati e rivoltati con il linguaggio del rock piu’ adulto e creativo in quel momento in circolazione (vedi le bellissime Taxidermy Blues In Reverse e Idiot Sun). Tuttavia, e’ nei momenti piu’ sospesi e atmosferici che il gruppo da’ il meglio di se’, quando in ballate languide (Buttered), bradiposi numeri folk-rock (Oxtail) e mantra sperimentali in chiave post rock (Bunny Gets Paid) rivernicia le sonorita’ piu’ in bianco e nero della tradizione con accesi colori allucinogeni. Un disco memorabile ed esteticamente profetico di cio’ che sarebbe accaduto in seguito. Musica splendida, senza data di scadenza, resistentissima alle mode passeggere e all’usura del tempo.


 


 


 


 


 





CALIFONE: All My Friends Are Funeral Singers


Dead Oceans (2009) – distr. Goodfellas


Voto: 8/10


 











In natura come nella musica se le radici sono forti e profonde e’ difficile che la montagna frani a valle. Cio’ spiega perche’ la produzione discografica dei Califone abbia sempre mantenuto livelli di eccelenza artistica sopra la media, connotandosi come una proposta rock e dintorni duttile e originale, capace di traghettare tradizione blues e country-folk nel terzo millennio con tutto il loro splendore di eternita’, classicita’ e straordinaria attualita’. Radici, canoni e modelli che i Califone hanno saputo scardinare, sollecitare e reiventare con mezzi ed espedienti espressivi tra i piu’ vari (elettronica, rumore, ambient, cruda sperimentazione), senza mai smarrire la strada maestra che dalla melodia porta alle piu’ felici manifestazioni del songwriting e della forma-canzone. Con il nuovo All My Friends Are Funeral Singers pero’ i Califone (nella fattispecie Tim Rutili, assieme a Ben Massarella, Jim Becker, Joe Adamic e altri collaboratori) sono andati oltre, confezionando quello che non solo e’ uno dei loro migliori dischi sfornati negli ultimi anni ma anche la colonna sonora di un omonimo film scritto e diretto da Mr. Rutili in persona, con la partecipazione dell’attrice Angela Bettis in qualita’ di protagonista principale. L’insieme generale mostra una freschezza sperimentale di suono, melodia e ritmo davvero incredibile, mantenendo inalterate le peculiarita’ stilistiche a cui i Califone ci hanno finora abituato. La cura per il dettaglio e’ spinta all’eccesso, sottile e quasi maniacale, eppure nulla sembra ridondante. Rugosita’ e ruvidita’ timbriche (elettriche ed elettroniche) si sposano a meraviglia con toni e sovratroni, calcinacci di distorsioni e grumi di rumori, gamme ritmiche ordinarie, sfasate e deformate, nitidezze acustiche e interferenze d’ogni sorta, sorgendo da un arsenale strumentale eccezionalmente ampio e variegato (chitarra slide ed elettrica, basso e batteria, banjo, ukulele e mandolino, tromba e clarinetto, piano, laptop e sintetizzatori, oggetti domestici e field recordings, violino e violoncello, marimba e kalimba, vibrafono e xylofono, campane e percussioni). La voce narcotizzata e strascicata, languorosa e sommessa di Tim Rutili e’ il collante di tutto cio’, un registro tanto bello e versatile che dentro ci senti ugualmente l’epica virilita’ di Leadbelly e il vellutato disincanto moderno di Kurt Cobain. Il pezzo introduttivo, Giving Away The Bride, e’ un trip-folk-blues sciamanico e tribale, una lega sorda e gommosa di rumori e loop hi-tech, dove monotoni accordi di piano accendono luci cinematiche e avveniristiche su colpi di batteria e percussioni che lentamente arrivano sempre piu’ chiari e forti in primo piano. Polish Girsl parte come una ballata folk ma poi si muta in un affascinante numero di pop lisergico. 1928 e’ country-folk soporifero e crepuscolare, una melodia di chitarra acustica insaporita per accumulazione d’ogni sorta di strumenti ed effetti. Si arriva poi ad un altro capolavoro, Funeral Singers, vigorose pennate di chitarra acustica e banjo, voce e ritmo che s’impennano e crescono minuto dopo minuto per darci tutta la genuina potenza e maestosita’ del pop insita nel folk. Bunuel ha, al contrario, una struttura armonica piu’ old style disegnata da fliddle e chitarra acustica, slabbrata e sfregiata con acido elettrico di marca West Coast. Ape-like sembra un pezzo arrivato chissa’ come dai campi di cotone della Luisiana, abilmente screziato di rumori e liquide armonie di marimba. Dal pop-folk trasognato e psichedelico di Evidence (vicina al sentimentalismo ovattato di Neil Young) al sottile motivo acustico e jazzato di Alice Marble Grey il passo e’ breve mentre slide guitar, violini e banjo tempestano la vivace e ancestrale nenia campestre di Salt. Nella parte finale del disco dominano invece la nostalgica visionarita’ popedelica di Krill (dove la voce di Rutili si srotola sui deboli rintocchi di una mbira) e l’anima folk-blues di Better Angels, volta in un surreale raga “soul-rock” da falsetti vocali, marimba, fondali di tastiere e ronzanti feedback di chitarra. Quasi impossibile stancarsi e annoiarsi con un disco di tal fatta, perfetto e immenso prodotto double-face, degno di far vincere ai Califone anche un Oscar come migliore colonna sonora dell’anno.


 


 


 


 


 


 





Links:


Califone: www.califonemusic.com


Sub Pop: www.subpop.com


Dead Oceans: www.deadoceans.com

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CAT POWER / FRIDA HYV https://www.soundcontest.com/cat-power-frida-hyvonen-kimya-dawson-essie-jain-emily-jane-white/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cat-power-frida-hyvonen-kimya-dawson-essie-jain-emily-jane-white Mon, 22 Dec 2008 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/cat-power-frida-hyvonen-kimya-dawson-essie-jain-emily-jane-white/ Il cantautorato rock, folk e pop del panorama indie e’ sempre piu’ femmina, segno che l’altra meta’ del cielo ha conquistato in questo ambito risultati, attenzioni e onori di assoluto rilievo, pari e in taluni casi superiori ai modelli maschili dominanti. Una carrellata su alcuni nomi e dischi recentemente pubblicati, tra campionesse e nuove promesse. […]

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Il cantautorato rock, folk e pop del panorama indie e’ sempre piu’ femmina, segno che l’altra meta’ del cielo ha conquistato in questo ambito risultati, attenzioni e onori di assoluto rilievo, pari e in taluni casi superiori ai modelli maschili dominanti. Una carrellata su alcuni nomi e dischi recentemente pubblicati, tra campionesse e nuove promesse.


 


 





ESSIE JAIN: The Inbetween


Leaf Records (2008) – distr. Goodfellas


Voto: 7/10


 










Lei viene da Londra ma da alcuni anni ha messo le tende a New York. The Inbetween e’ il suo secondo lavoro e segue la ristampa primaverile del disco d’esordio We Made This Ourselves, originariamente pubblicato lo scorso anno. Nel suo background ci sono studi classici di piano e violoncello, il che spiega l’originalita’ di una proposta che mescola in parti uguali influenze colte, armonie cameristiche in formato tascabile e suggestioni popular-folk anni Sessanta-Settanta, il tutto accompagnato da una vocalita’ fragilmente tersa ma adulta nel tono. Eavesdrop, I Ask You, Please, Weight Off Me, You oppure Goodbye sono piccole gemme acustiche che parlano direttamente al cuore tramite un lirismo soave e minimale, canzoni in cui, tra pubblico e privato, Essie Jain si racconta con disarmante onesta’, muovendosi sicura tra la delicatezza del piano e il candore di uno strumento ad arco. Altre tracce quali Here We Go, Do It, Not Yours e la cabarettistica The Rights rilanciano invece una vivace contemporaneita’ indie-pop, contrappuntata da fiati, batteria e una chitarra ora elettrica ora acustica. Un bel disco da parte di un’interprete preparata e sicuramente interessante, suscettibile di raggiungere nel prossimo futuro traguardi e livelli ancora piu’ alti.


 





KIMYA DAWSON: Alphabutt


K Records (2008) – distr. Goodfellas


Voto: 7,5/10


 











Indimenticabile da teenager quando con Adam Green faceva parte dei newyorkesi Moldy Peaches, Kimya Dawson e’ adesso una felice mamma stabilitasi con la famiglia in quel di Olympia. Alphabutt e’ il suo sesto album solista, una faccenda deliziosa e poco allineata (in perfetta sintonia con il personaggio) trattandosi di “children music”, ossia autentiche canzoncine composte per bambini. Filastrocche a bassissima fedelta’ in salsa pop e anti-folk che sprizzano la giovialita’ e la genialita’ della penna di Kimya, sostenuta da un trio (tra cui il marito Angelo Spencer e l’ex batterista dei Primus, Brian Mantia) e da un quartetto di infanti ai cori e ai backing vocals. Il clima e’ tenero e surreale come quello che si puo’ respirare in una prima classe elementare, dove il timbro morbido e fanciullesco della Dawson sciorina strofe che raccontano di affetti familiari, lettere, parti del corpo, pupazzi e animali. Ventisette minuti di sublime candore e singolare fiuto per la melodia, nel segno di una naturale vocazione per la sorpresa e di un creativo riciclaggio dell’ovvio.


 





FRIDA HYV

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GIANT SAND / CALEXICO https://www.soundcontest.com/giant-sand-calexico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=giant-sand-calexico Tue, 02 Sep 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/giant-sand-calexico/ Howe Gelb, Joey Burns e John Convertino, un tempo uniti sotto lo stesso tetto a pochi passi dal deserto, poi divorziati in modo consensuale, ognuno per strade diverse. Il primo, proprietario del marchio Giant Sand, irrequieto cacciatore di climi e arcobaleni sonori a meta’ strada tra il Nuovo ed il Vecchio Continente; gli altri due, […]

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Howe Gelb, Joey Burns e John Convertino, un tempo uniti sotto lo stesso tetto a pochi passi dal deserto, poi divorziati in modo consensuale, ognuno per strade diverse. Il primo, proprietario del marchio Giant Sand, irrequieto cacciatore di climi e arcobaleni sonori a meta’ strada tra il Nuovo ed il Vecchio Continente; gli altri due, fondatori dei Calexico, rimasti sempre li’, a Tucson, a sorvegliare la linea di confine che separa l’Arizona dal Messico. Sembra una strana coincidenza il fatto che l’uscita dei loro nuovi album cada nello stesso mese, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.


 


 


 


 


 





GIANT SAND: proVISIONS


Yep Rock Records (2008) – distr. IRD


Voto: 7/10


 











Quattro anni dopo Is All Over … The Map, quando sembrava del tutto preso da progetti esclusivamente a suo nome, Howe Gelb resuscita la sigla Giant Sand e pubblica il tredicesimo capitolo della saga, questo proVISIONS registrato la scorsa estate nella fredda Danimarca con una line-up che vede il leader a voce, piano e chitarra, Anders Pedersen alla slide guitar, Th

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]]> WEIRDLANDS VOL. 1: Warmer Milks / Woods https://www.soundcontest.com/weirdlands-vol-1-warmer-milks-woods/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=weirdlands-vol-1-warmer-milks-woods Sat, 28 Jun 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/weirdlands-vol-1-warmer-milks-woods/ Due nomi tra i tanti che negli ultimi anni smuovono e fertilizzano il suono “out” americano dai bassifondi, Warmer Milks e Woods, insieme lo ying e lo yang di una stessa scena in perpetua evoluzione, sempre piu’ inafferabile e quasi impossibile da circoscrivere.           WARMER MILKS: Radish On Light Troubleman Unlimited […]

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Due nomi tra i tanti che negli ultimi anni smuovono e fertilizzano il suono “out” americano dai bassifondi, Warmer Milks e Woods, insieme lo ying e lo yang di una stessa scena in perpetua evoluzione, sempre piu’ inafferabile e quasi impossibile da circoscrivere.


 


 


 


 


 






WARMER MILKS: Radish On Light


Troubleman Unlimited (2007) – distr. Goodfellas


Voto: 8/10



 











I Warmer Milks provengono da Lexington, Kentucky, inizialmente un moniker per le sperimentazioni acustiche e le registrazioni domestiche del chitarrista-vocalist Mikey Turner, poi progetto dalla line-up variabile in cui i nomi piu’ ricorrenti sono quelli di Travis Shelton e Greg Backus. Radish On Light e’ il loro primo album “ortodosso” che spezza la solita pila di nastri e CD-R autoprodotti. Cacofonia e psichedelia, impro-jam, power electronic, tribal-folk-blues e drone-industrial music sono i mezzi espressivi scelti per dar vita a un sound che sprigiona insieme incanti e incubi, atmosfere mistiche e raggelanti. Su tutto aleggia la voce allucinata e strozzata di Turner che avvelena trame strumentali percussivamente e timbricamente “in fieri”, radiazioni elettriche ed elettroniche intrise di feedback e arpeggi dissonanti, melasse noise messe a fermentare tra cupe e abominevoli sospensioni a’ la Melvins (Radish On Light), free-noise, clangori, squeak elettronici e atonali quanto acidissime linee di chitarra che degradano verso la “trance” esotica dei Sun City Girls e dei Savage Republic (In The Fields), terrificanti e tribaloidi alchimie dark-psych-noise (The Shark) e mostruose dodecafonie in chiave acid-blues (Pentagram Of Sores). Tra jam e forma canzone quattro tracce che sfregiano la corteccia cerebrale come lame, le piu’ truci e abrasive finora assemblate dai Warmer Milks, gruppo immenso e’ gia’ necessario che con Radish On Light si sdogana ed esce fuori trincea come meglio non si potrebbe.


 


 


 


 


 


 






WOODS: At Rear House


Shrimper Records (2007)


Voto: 7,5/10











 


Dalla provincia americana ci strasferiamo nei paraggi di New York per parlare di At Rear House, secondo album ufficiale intestato ai Woods, duo composto da Jeremy Earl e Christian DeRoeck, parallelalmente in azione con i Meneguar e strenui paladini della registrazione su supporto obsoleto con le etichette personali Fuckittapes (per il catalogo su cassetta) e Woodsist (per quello su vinile), marchi che hanno dato voce e asilo a nomi caldi del giro quali Jana Hunter, Raccoo-oo-oon, Wooden Wand, Excepter, Hush Arbors e gli stessi Warmer Milks. Le undici tracce  del disco uniscono gusto “campfire” e languore pop con la piu’ genuina prassi lo-fi. Due voci sottili e gentili, ora intime ora impertinenti, che sembrano provenire da impolverati grammofoni anni Trenta. Una fantastica collisione tra la piu’ spettinata tradizione urban-folk del Greenwich Village, il selvaggio spirito silvano degli Appalachi, l’essenziale incisivita’ amatoriale dei Sebadoh e l’anima weird-pop degli Animal Collective. Don’t Pass On Me, Ring Me To Sleep, Walk The Dogs, Love Song For Pigeons, Woods Children Pt. 2 e Picking Up The Pieces sono felici esempi di come sia possibile far convivere sotto lo stesso tetto l’urgenza comunicativa della forma canzone, il piacere dell’arrangiamento, la vena sperimentale e l’attaccamento alle radici, passando con naturalezza da un tamburello a una chitarra acustica, da un banjo ad una sei corde elettricamente lisergica, da un field recording ad un nastro manipolato, da un flauto a una batteria che pulsa spigliate cadenze indie pop-rock. Un album “gentilmente” sensazionale e un progetto senz’altro da pedinare, piu’ di recente reincarnatosi nel trio Woods Family Creeps, autore di un omonimo album su Time-Lag Records che ovviamente sara’ presto oggetto d’indagine e debita recensione.


 


 


 


 


 


 


 





Links:


Warmer Milks: www.warmermilks.com


Woods: www.myspace.com/woodsfamilyband

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BLACK DICE / ERIC COPELAND https://www.soundcontest.com/black-dice-eric-copeland/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=black-dice-eric-copeland Fri, 27 Jun 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/black-dice-eric-copeland/ Tra i poliritmi weirdtronici dei Black Dice e le ipotesi cantautorali in salsa low electronics di Eric Copeland i piatti della bilancia oscillano in opposte direzioni. Se da una parte il gruppo madre vivacchia sui 12” (Manoman e il successivo Roll Up ) e nel suo ultimo album si limita a mandare in loop la […]

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Tra i poliritmi weirdtronici dei Black Dice e le ipotesi cantautorali in salsa low electronics di Eric Copeland i piatti della bilancia oscillano in opposte direzioni. Se da una parte il gruppo madre vivacchia sui 12” (Manoman e il successivo Roll Up ) e nel suo ultimo album si limita a mandare in loop la propria formula sonora, dall’altra e’ Eric Copeland che nel suo debutto solista convoglia energie e fantasia a mille.


 


 


 





BLACK DICE: Load Blown


Paw Tracks (2007) – distr. Goodfellas


Voto: 6/10


 











C’e’ voluto come al solito un pò di tempo ma alla fine i semi gettati dopo Broken Ear Record sono germogliati e maturati per la gioia di un un consistente raccolto. Che la ditta Black Dice coabiti con quella degli Animal Collective e ne condivida/traduca in senso “arty electronic” lo spirito pop-weird-freak e’ un dato di fatto. E percio’, al di la’ di assidue frequentazioni e collaborazioni (tour, split, side-project), non sorprende neanche tanto che questa coppia d’album sia stata licenziata via Paw Tracks. Il fatto paradossale (e interessante) sarebbe piuttosto il singolar tenzone creativo che entrambi suscitano e animano sotto lo stesso tetto, laddove uno s’ingolfa per strada mentre l’altro taglia felicemente il traguardo. Con Load Blown, che tramite cinque nuove tracce allunga il brodo del materiale gia’ apparso sui 12” Manoman e Roll Up, il trio di Brooklyn scompone il suono di ogni pezzo in singole particelle materiche, instillando nella struttura un’ormai marcata riconoscibilita’ armonica e ritmica, pur sgranando la trama con effetti meccanici, fricativi, acquosi e sublunari. Uno stiloso esercizio di accordi chitarristici folky e voce hillibilly, reiterati e sporcati con scratch di alte e bassse frequenze (Scavenger), esotismi psichedelici e intergalattici (Cowboy Soundcheck), voci deformate, sfarfallii, pulsazioni elettroniche e robotiche (Bananas), preamboli meta noise-rock e loop in levare che informano il beat (Bottom Feeder), dance marziana e svisate sulla manopole del mixer (Roll Up),ambient, tichettii e rarefatti giochi percussivi che si muovono e sfumano in una ghirlanda microtonale sine-wave (Drool). Questo per raccontare del materiale nuovo del disco, che in tutta onesta’ nuovo non suona. I Black Dice rielaborano se stessi, mantengono un profilo morbido, affascinano ma non stupiscono


 


 


 





ERIC COPELAND: Hermaphrodite


Paw Tracks (2007) – distr. Goodfellas


Voto: 8/10


 











Da questa cristallizazione prende invece le distanze Eric Copeland (vocalist e manipolatore sonoro della band), che con l’ausilio di chitarra, armonica, qualche percussione, un obsoleto otto piste, microfoni e riproduttore MiniDisc ha in un paio d’anni inventato e accumulato la dozzina di tracce che compongono Hermaphrodite. Un prodotto esteticamente ibrido e ambiguo, come il titolo ben rilancia, dove ci si puo’ divertire a indovinare (senza riuscirci) la fonte e l’identita’ dei suoni, degli effetti e degli strumenti combinati insieme. La prima cosa a risaltare e’ la fisicita’ e la gioiosa luminosita’ del groove, qualita’ che nei Black Dice sono appena abbozzate o inquinate da un pervicace astrattismo. Non che Hermaphrodite non sia un lavoro cerebrale e sperimentale, anzi, tuttavia il lisergico infantilismo di Green Burrito, le vocine aliene di Wash Up e quelle quasi liriche di Dinca, la nenia folk elettroacustica di Spacehead, la danza indiana di FKD, il festoso bailamme tribale di La Booly Boo e le armonie elettroniche progressivamente distorte di Scumpipe sono insieme la cifra di un approccio al trattamento e alla manipolazione del suono ludicamente ironico. In secondo e ultimo luogo colpisce l’assenza di breakbeats. Copeland cerca piuttosto il ritmo nella reiterazione/frammentazione del loop sonoro-vocale, accavalla sovratoni e microtoni (vedi nello specifico Oreo) sortendo con Three Aliens, Mouthole e Hermaphrodites risultati davvero originali. Un disco spettacolare in ogni sua curva, tra Beefheart e i Residents in salsa low electronics.


 


 


 


 


 


 





Links:


Paw Tracks: www.paw-tracks.com


Black Dice: www.blackdice.net

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