Senza-orario Archivi - Sound Contest https://www.soundcontest.com/category/speciali/senza-orario/ Musica e altri linguaggi Mon, 15 Jun 2020 07:45:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.1 ENZO ZIRILLI / NICO DI BATTISTA | Neapolis https://www.soundcontest.com/neapolis/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=neapolis Tue, 04 May 2010 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/neapolis/ E’ un disco molto delicato e articolato questo del duo Zirilli-Di Battista. L’antica canzone napoletana ancora una volta rivisitata, rielaborata, reinventata. Enzo Zirilli e Nico Di Battista affrontano l’eredita’ della cultura partenopea inventando un percorso originale e di sperimentazione dove stili apparentemente distanti hanno rivestito brani famosissimi ai quali siamo legati con il cuore e […]

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E’ un disco molto delicato e articolato questo del duo Zirilli-Di Battista. L’antica canzone napoletana ancora una volta rivisitata, rielaborata, reinventata. Enzo Zirilli e Nico Di Battista affrontano l’eredita’ della cultura partenopea inventando un percorso originale e di sperimentazione dove stili apparentemente distanti hanno rivestito brani famosissimi ai quali siamo legati con il cuore e per i quali e’ difficile accettare accostamenti di un moderno “alternativo”. Alternativo perche’ si esprime in un linguaggio latin jazz e new age, ma, in fondo, poi non cosi’ distante dalla cultura del sud, per secoli dominata da arabi e spagnoli e che ha fatto della fantasia il pane quotidiano.
A partire da “‘O marenariello”, immerso in una sincopata atmosfera segnata da maracas morbide dal tono estivo, ad “Era de Maggio”, un flamenco vivace e romantico, troviamo un percorso che si dipana come il lungo cammino di Alice, ad ogni svolta nuove possibilita’ espressive.
“Passione”, dopo un’intro in due tempi passa ad un ritmo ternario incredibilmente dolce e sensuale mentre il motivo e’ solo accennato dalla voce di Di Battista.
“Legrandneapolis”, invece, e’ una composizione di Di Battista, una rumba sognante dove la voce del compositore si intromette come colpi di luce a biacca, mentre col suo freetles tiene la linea del basso e la melodia. Inizia in stile new age l’ispirata e struggente ballata che tutti conosciamo come “Reginella”, ma improvvisamente diventa un samba irresistibile e qui il set misto di Zirilli da’ il meglio in un mirabolante gioco di alternanze.
“Voce ‘e notte” rimane quella tristissima preghiera d’amore senza speranza che il grande Principe De Curtis seppe strapparsi dall’anima con la sua profonda umanita’, alla quale non vengono mai meno i due arrangiatori di questo lavoro.


 


Musicisti:
Enzo Zirilli – percussions, hang
Nico Di Battista – DB guitar, nylon and steel guitar, freetless bass, vox, effects


Brani:
01. ‘O marenariello 6.45
02. Passione 4.36
03. Guapperia 3.51
04. Legrandneapolis 4.10
05. Scalinatella 6.43
06. Funesta ca’ lucive 4.56
07. Reginella 3.39
08. ‘O sole mio 2.28
09. Io te vurria vasa’ 4.57
10. Voce ‘e notte 4.55
11. Era de Maggio 3.40


Link:
Nico Di Battista: www.nicodibattista.com
Enzo Zirilli: www.enzozirilli.com
Suoni del Sud: www.suonidelsud.it
Rai Trade: www.raitrade.it

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RANDOM n. 2 – LA MUSICA SCELTA DAL PC https://www.soundcontest.com/random-n-2-la-musica-scelta-dal-pc/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=random-n-2-la-musica-scelta-dal-pc Sun, 12 Jul 2009 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/random-n-2-la-musica-scelta-dal-pc/ Prendete tutta la musica che avete accumulato negli anni e che spesso non avete neanche ascoltato, travasatela in un hard disk, collegate quest’ultimo al vostro pc ed azionate un qualsivoglia media player selezionando la riproduzione casuale. Resterete positivamente sorpresi. O forse no… dipende da cosa ascoltate.  6 AUSTRALES: “Trapalanda” (da 6 Australes)Riconosco i 6 Australes […]

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Prendete tutta la musica che avete accumulato negli anni e che spesso non avete neanche ascoltato, travasatela in un hard disk, collegate quest’ultimo al vostro pc ed azionate un qualsivoglia media player selezionando la riproduzione casuale. Resterete positivamente sorpresi. O forse no… dipende da cosa ascoltate.


 
6 AUSTRALES: “Trapalanda” (da 6 Australes)
Riconosco i 6 Australes dal recente ripetuto ascolto di un bellissimo cd prodotto dalla tedesca Oriente Musik. Le sonorita’ sono ovviamente (visto il luogo di nascita di parte dei musici) quelle argentine con una marcata impronta di tango, con il bandoneon del tedesco (sic) Christian Gerber in prima fila e la voce di Sergio Gobi molto coinvolgente, qui come negli altri brani di un disco da consigliare assolutamente.


 




 


3-11 PORTER: Coffee Boredom and Cigarettes (da Nurse Me)
Devo cambiare qualcosa al settaggio della funzione random del Media Player, altrimenti questi me li ritrovero’ tra i piedi ad ogni escursione sonora. Visto che le regole le ho stabilite io, le cambio in corsa, e dico che un brano tratto da un cd che e’ già uscito in una precedente puntata della rubrica… lo si puo’ saltare.



 



CHET BAKER: “The Song Is You” (da Chet Baker with Fifty Italian Strings)
Strepitoso Chet. E questo brano era un suo cavallo di battaglia… lo cantava e suonava divinamente. Qui gli archi (italiani) e’ come se non ci fossero, tanto risultano determinanti i fiati di accompagnamento. La voce angelica di Chet in questa fase, poi… che bella che era. Ed il fraseggio cosi’ agile… tanto lontano dall’intimismo dell’ultimo periodo.
Disco assolutamente consigliabile, se non altro per il fatto che l’ascolto di ogni brano di Chet e’ un’esperienza da non perdere.


SUSANNA LINDEBORG’S MWENDO DAWA: “4 Views” (da A Taste Of Four Free Minds)
Bel personaggio la Lindeborg. Un pianismo, il suo, che rimanda a certe esperienze free degli anni settanta, ricordando a tratti il Paul Bley piu’ libero.
Le linee trasversali che disegna sono contrappuntate da un pregevolissimo lavoro eseguito dal batterista David Sundby, che successivamente intesse trame anche per il solismo del contrabbassista Jimmi R. Pedersen ed infine per il sax elettronico di Ove Johansson, che tante altre volte e’ stato partner importante per la Lindeborg.  .
La chiusura del brano con le quattro strade che si intrecciano e’ davvero degna di nota.


123 MIN: “Hey, Son” (da XL Live)
Questo disco l’ho scoperto tardi, qualche anno dopo che fu inviato alla redazione di altriSuoni e… ed e’ stata una piacevolissima sorpresa.
Chissa’ perche’ alle volte siamo influenzati dalla copertina di un disco nel pretendere di immaginare che musica vi sia stata impressa. Ed in questo XL Live del gruppo ungherese -123 Min., sei loghi che rappresentano altrettanti strumentisti come se si trattasse delle discipline sportive di un’Olimpiade, non scatenarono allora la mia curiosita’. Ed e’ stato proprio un ascolto random a tirar fuori dall’hard-disk questo vulcano di energia bluesy capitanato dal chitarrista e cantante Zdenek Bina che – canti in inglese o in magiaro – riesce ad esaltare gli entusiasmi del pubblico presente al concerto del 2004 qui immortalato.
Se divertente risulta il call and response di voce e chitarra in apertura di questo brano, trascinante risulta tutto il disco di un gruppo che segnaliamo come una realta’ da seguire.


CANNONBALL ADDERLEY: “Groovy Samba” (da Cannonball’s Bossa Nova)
Grande Cannonball. Voce di sax riconoscibilissima, un fraseggio inconfondibile anche se questo disco mi da’ delle conferme, negative, ma non su Cannonball… ci mancherebbe. Penso al connubio tra il jazz ed il Brasile e penso che mai un ibrido musicale sia riuscito così male. Viene a mancare lo swing, l’accompagnamento di batteria e’ il solito, sempre lo stesso, noiosissimo. Il jazz perde energia… il Brasile perde i suoi colori, originalissimi quando la musica e’ vera. Fortunatamente il brano dura poco, sicche’ posso tornare a pensare ad Adderley che suona jazz, quello vero, magari con Miles.


RITA MARCOTULLI: “Afromenia” (da Koine’)
Sono particolarmente legato a Rita Marcotulli. Ricordo le sue numerose performance con Maria Pia De Vito, il concerto – lunghissimo e di un’intensita’ incredibile – all’Istituto di Cultura Francese di Napoli del gruppo che registro’ Chanson con Rava-Galliano-Pietropaoli, il trio con Palle Danielsson e Peter Erskine all’Otto Jazz Club di Napoli (con Enzo Lucci – il compianto direttore artistico del club – a dir poco esaltato dalla strepitosa performance di Rita) nonche’ la sua spontaneita’ durante l’intervista che facemmo nel caldo settembre napoletano di qualche anno fa.
Rita e’ un’artista nel senso ampio del termine, non e’ solo una pianista. I suoi progetti sono sempre tali, non sono mai un mettere insieme i primi musicisti che capitano per le mani per suonare le prime cose che vengono in mente… il lavoro sulle musiche dei film di Truffaut vale per tutti a confermare questa sua caratteristica.
E poi… ha una tale capacita’ di trasformare il suo pianoforte in uno strumento altro, vista l’abilità che mostra nell’utilizzarlo anche come strumento percussivo, picchiando sul legno o sulle corde direttamente con le mani, magari dopo aver poggiato su di esse qualche sonaglio.
Infine, la sua vena compositiva. Penso ad “Autoritratto”, e mi commuovo ancora dopo quindici anni per la bellezza della linea melodica di quel brano.
Quanto a Koine’, non posso liquidarlo in poche righe… merita un approfondimento… e poi qui… che belle queste voci di stampo africano, le percussioni, i fiati…  Bello, davvero molto bello.


ALBERT AYLER: “Bells” (da Lòrrach, Paris 1966)
Azz’.
Non appare serio – lo so – scrivere azz’. Ma Albert Ayler… Queste sedute del 1966 ce lo mostrano nel meglio di una fase in cui l’aspetto spirituale era gia’ ampiamente esploso. Qui i temi da marcetta sono solo l’introduzione a canti di preghiera, ad urla di dolore e disperazione… sembra di essere immersi in una processione.
Decisiva qui anche la tromba di Don Ayler. E poi il sax di Albert che impazza, la batteria sullo sfondo che – seppur apparentemente chiassosa – risulta funzionalissima all’assolo, straziante, del leader. E i cambi di ritmo, così repentini… l’archetto sul contrabbasso che produce sovracuti distorti… e poi… la marcetta che riprende… Un pretesto straordinario, questo adottato da Ayler, che direi concettuale ed al contempo funzionale.


CAMEL: “Rhayader” (da A Live Record)
Sono passate soltanto tre settimane da quando ho rivisto Massimo dopo sei anni che per certi versi sono parsi secoli. È stata un’occasione preziosa per rivivere gli ultimi 40 anni: i giochi nel viale di casa, le scuole medie ed il liceo – stesso banco -, il primo anno di Universita’… e ancora le partite a pallone, le giornate trascorse con il resto del gruppo in quella Mostra d’Oltremare di Napoli nella quale lasciavamo ampio spazio alla nostra fantasia e dove stasera andro’ ad ascoltare il trio di Brad Mehldau. Per noi della “quinta E” questo disco dei Camel divenne presto (insieme al doppio live dei Led Zeppelin e ad altri) un must, con quelle sonorita’ che attingevano a certo jazz-rock dell’epoca. Questa “Rhayader”, poi, e’ in apertura un tuffo in sonorita’ medievali particolarmente in voga negli anni Settanta. Ovviamente, come per buona parte dei dischi che si ascoltavano allora, le nostre innocenti contraffazioni su musicassette avvenivano grazie ai vinili che Massimo ci prestava.


JOHN ABERCROMBIE: “John’s Waltz” (da November)
La chitarra di Abercrombie e’ straordinaria… la riconosci alle prime note. November e’ forse il lavoro che rappresenta meglio di altri (pur bellissimi) l’apice del trio con Marc Johnson e Peter Erskine, qui per l’occasione affiancati in alcuni brani da quello straordinario musicista che risponde al nome di John Surman. Penso che se non ci fosse stato quell’altro fenomeno di Pat Metheny a far breccia in un pubblico di massa, probabilmente John Abercrombie avrebbe avuto maggiore riscontro, anche se gli ascoltatori piu’ vicini al jazz piu’ autentico (me compreso), lo preferiscono di gran lunga.


LUCA FLORES: “Angela” (da Sounds and Shades of Sounds)
Ho da poco acquistato e divorato il libriccino di Walter Veltroni dedicato a Luca Flores, “Il disco del mondo” e mi sono commosso sia per la storia travagliata di questo bravissimo pianista, sia per il coinvolgimento emotivo che Veltroni mette nello scrivere di un amico mai conosciuto. Strano come la musica ci faccia sentire vicine delle persone che in realta’ non abbiamo mai incontrato (For Those I Never Knew, come il titolo dell’ultimo lavoro di Flores prima del suicidio). Un destino, quello di Flores, che lo accomuna all’autore di questa bellissima canzone in

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Davis-Coltrane, musica d(‘)annata https://www.soundcontest.com/davis-coltrane-musica-dannata/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=davis-coltrane-musica-dannata Sun, 21 Jun 2009 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/davis-coltrane-musica-dannata/ MILES DAVIS: Bopping The BluesRadio Recorders (Usa) – 1946 Sono, queste, le registrazioni piu’ vecchie di Miles Davis se si escludono le sedute con Charlie Parker per la Dial e la Savoy.Siamo nel 1946 e, con un organico composto esclusivamente da ritmica, due fiati e voce, Miles – in compagnia di ottimi musicisti tra i […]

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MILES DAVIS: Bopping The Blues
Radio Recorders (Usa) – 1946


Sono, queste, le registrazioni piu’ vecchie di Miles Davis se si escludono le sedute con Charlie Parker per la Dial e la Savoy.
Siamo nel 1946 e, con un organico composto esclusivamente da ritmica, due fiati e voce, Miles – in compagnia di ottimi musicisti tra i quali spiccano il batterista Art Blakey ed il tenor-sassofonista Gene Ammons – si muove in un repertorio di blues songs la cui parte principale viene svolta dalle voci (alternate a seconda dei brani) di Earl Coleman ed Ann Baker.
I brani sono in realta’ quattro e sono qui presentati in varie takes nelle quali, restando invariati gli arrangiamenti ed il tempo di esecuzione, l’unica variante sono le (brevi) parti solistiche.


Musicisti:
Miles Davis, tromba; Earl Coleman, voce; Ann Baker, voce; Connie Wainwright, chitarra; Gene Ammons, sax tenore; Linton Garner, piano; Tommy Potter, contrabbasso; Art Blakey, batteria


Brani:
Don’t Sing Me The Blues (2 takes) / I’ve Always Got The Blues (3 takes) / Don’t Explain To Me Baby (4 takes) / Baby, Won’t You Make Up Your Mind (3 takes)


 


DAVIS/GETZ/KONITZ: Conception
OJC (Usa) – 1949-51


Registrato in sette sedute tra il 1949 ed il 1951, e con differenti organici, Conception si inserisce a pieno titolo in quella corrente cool che aveva da poco preso piede grazie a figure come Lennie Tristano, Gil Evans e quel nutrito stuolo di musicisti che intorno ad essi gravitavano.
Per quanto all’uscita del disco Miles Davis avesse gia’ registrato quel gioiello intitolato Birth Of The Cool, il musicista che qui maggiormente spicca e’ Lee Konitz (che al progetto davisiano aveva partecipato), soprattutto per la sua maggiore familiarita’ a tale linguaggio rispetto a Miles ed a Stan Getz, co-intestatari del lavoro qui presentato. I suoi assolo, il suo fraseggio, i suoi duetti con il chitarrista Billy Bauer – che con lui faceva parte dei gruppi tristaniani della fine degli anni Quaranta – fanno si’ che sia proprio Konitz il padrone della scena.
Quanto a Getz e a Davis, vanno ricordati per alcuni interventi di grande intensita’, soprattutto Miles in “Yesterdays” e “My Old Flame”.
Da immortalare sono anche i brani registrati ad organico allargato, “Ezz-thetic”, “Conception” ed una “So What” differente da quella davisiana dal 1959.


Musicisti (formazione complessiva):
Miles Davis, tromba; Sonny Rollins, sax tenore; Zoot Sims, sax tenore; Stan Getz, sax tenore; Lee Konitz, sax contralto; Charlie Kennedy, sax; Gerry Mulligansax baritono; J.J. Johnson, trombone; Kai Winding, trombone; Walter Bishop, piano; Sal Mosca, piano; Al Haig, piano; Tony Aless, piano; Billy Bauer, chitarra; Tommy Potter, contrabbasso; Arnold Fishkin, contrabbasso; Gene Ramey, contrabbasso; Chubby Jackson, contrabbasso; Art Blakey, batteria; Roy Haynes, batteria; Max Roach, batteria; Stan Levey, batteria; Don Lamond, batteria; Chubby Jackson’s Orchestra.


Brani:
Odjenar / Hibeck / Yesterdays / Ezz-thetic / Indian Summer / Duet For Saxophone And Guitar / Conception / My Old Flame / Intoit / Prezervation / I May Be Wrong / So What


Link:
Miles Davis –
www.milesdavis.com


 


JOHN COLTRANE: Blue Train
Blue Note (Usa) – 1957


Blue Train raccoglie i frutti dell’unica seduta di registrazione a nome di John Coltrane per la Blue Note e qui, piu’ che nelle numerose altre registrazioni del sassofonista negli anni Cinquanta, si sente fortissimo il linguaggio hard-bop che all’epoca era gia’ esploso grazie ai Jazz Messengers di Art Blakey ed Horace Silver, qui richiamati anche per il forte impatto (sonoro ed emotivo) derivante dagli assieme di tromba, trombone e sax, i primi due suonati rispettivamente da Lee Morgan e da Curtis Fuller, musicisti che firmeranno poi pagine importanti proprio della discografia dei Messengers.
Per quanto concerne la ritmica, fatta eccezione per Kenny Drew, Coltrane vi aveva gia’ suonato (ed altre volte lo fara’ in seguito) in fondamentali incisioni del quintetto di Miles Davis per la Prestige e per la Columbia.
I brani, nel rispetto di quell’estetica, sono tutti a ritmo sostenuto, con assolo a tratti travolgenti, ad eccezione di “I’m Old Fashioned”, la ballad di Jerome Kern e Johnny Mercer nella quale tutti i musicisti, presenti in questa seduta, mostrano capacita’ espressive di grande intensita’.
Un disco fondamentale per apprezzare Trane nella fase precedente la svolta Impulse! che lo condurra’, di li’ a qualche anno, in altre dimensioni sonore e spirituali.


Musicisti (formazione complessiva):
John Coltrane, sax tenore; Lee Morgan, tromba; Curtis Fuller, trombone; Kenny Drew, piano; Paul Chambers, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria.


Brani:
Blue Train / Moment’s Notice / Locomotion / I’m Old Fashioned / Lazy Bird


Link:
John Coltrane –
www.johncoltrane.com

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RANDOM – La musica scelta dal PC https://www.soundcontest.com/random-la-musica-scelta-dal-pc/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=random-la-musica-scelta-dal-pc Mon, 30 Mar 2009 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/random-la-musica-scelta-dal-pc/ Prendete tutta la musica che avete accumulato negli anni e che spesso non avete neanche ascoltato, travasatela in un hard disk, collegate quest’ultimo al vostro pc ed azionate un qualsivoglia media player selezionando la riproduzione casuale. Resterete positivamente sorpresi. O forse no… dipende da cosa ascoltate. 3-11 PORTER: “The Host” (da Nurse Me)Ho appena impaginato […]

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Prendete tutta la musica che avete accumulato negli anni e che spesso non avete neanche ascoltato, travasatela in un hard disk, collegate quest’ultimo al vostro pc ed azionate un qualsivoglia media player selezionando la riproduzione casuale. Resterete positivamente sorpresi. O forse no… dipende da cosa ascoltate.

3-11 PORTER: “The Host” (da Nurse Me)
Ho appena impaginato la recensione di questo cd che poi, tutto sommato, non mi esalta particolarmente. In alcuni brani – volendo – le sonorita’ sono anche piacevoli, ma in altri… bah. In questo, poi… Sono stato sfortunato… Andra’ meglio con il prossimo brano… speriamo!!!

THE POLICE: “Too Much Information” (da Ghost In The Machine)
Mentre guardo dei grafici per eseguire un lavoro, mi suonano familiari le prime battute di questo brano. È ancora di facile ascolto, anche se… cavolo, sono i Police, anche se non nel loro momento migliore. Se non fosse stato per la sequenza casuale dei brani del Media Player, non avrei certamente scelto questo disco… e’ bello ogni tanto essere rispediti indietro, negli anni musicali dell’adolescenza, ma oggi ho bisogno di qualcosa di piu’ forte, almeno di piu’ intenso. Rimpiango le ore trascorse ieri in macchina, quando mi sono sparato un doppio live di John Coltrane.

PAOLINO DALLA PORTA: “Lullaby For Ugo” (da Tales)
Eccola una cosa che amo particolarmente per la sua intensita’: la tromba, o meglio il flicorno, di Kenny Wheeler. Nei primi tre minuti e mezzo disegna linee di grande espressività emotiva su un tappeto ritmico molto libero. Alle volte sento di essere squarciato dentro dal canto di Wheeler, ma non e’ una sensazione negativa, anche perche’ poi ricuce tutto riportandoti in uno stato di pace. L’assolo di Stefano Battaglia e’ altrettanto intenso… e’ bravo lui, molto bravo. E lo sono anche Dalla Porta e Elgart. Tutto il cd e’ bello, ne ho un buon ricordo, anche se non lo sento da molto. Me lo appunto per una prossima recensione.

SCHIANO/LEANDRE/GEREMIA: “Blue Memories, part two” (da Blue Memories)
Mario Schiano… zio Mario, come mi piace ricordarlo. Non ho voglia di tirar fuori adesso sensazioni forti che mi rimandano a lui, non ne ho ancora la forza, ne’ il necessario distacco… non e’ neanche un anno che se ne e’ andato. Proprio mentre inizia l’assolo di Schiano, suona il citofono… e’ il ragazzo che fa le consegne per il pescivendolo sotto casa (a Mario piacerebbe questa digressione ittico-gastronomica). Gli vado incontro per prendere cio’ che Laura ha comprato… non mi va di essere servito… non mi va che questo ragazzo debba salire cinque piani a piedi perche’, per vari motivi, preferiamo ancora non far installare un piccolo ascensore. Rientro e faccio ricominciare il brano dall’inizio. Renato Geremia, che musicista… completo… uno di quelli che andrebbe approfondito e che meriterebbe ben altro risalto. Ma diciamo che con Mario e’ in buona compagnia, in quanto a questo. Al contrabbasso Joelle Leandre… la mia amica Francesca terrebbe le orecchie ben aperte per quanto ama questa musicista. Mentre scrivo sento Mario che emette urla miste a me’tasuoni, come suo solito, e mi viene da (sor)ridere pensando di ridurre queste figure a semplici ‘musicisti’… questi sono ‘artisti’ nel senso piu’ alto del termine… utilizzano i propri stumenti non come fine, ma come mezzo espressivo per descrivere mondi che vanno molto al di la’ della musica. Bello questo passaggio nel quale la Leandre batte l’archetto sulle corde del contrabbasso come se si trattasse di un berimbau… lo trasforma in altro… prima di giungere ad unire lo strofinio sulle corde con il gracchiare di Mario. I suoni si confondono, raggiungono le stesse frequenze… forse Geremia qui batte le mani sul legno del suo piano… emergono, dai tre, voci (strumentali e vocali) di ogni risma. Tredici minuti e ventuno secondi di esperienza intensa, inattesa. Quando avevo ascoltato questo cd l’ultima volta? Non ricordo. Forse dieci anni fa l’ho fatto girare velocemente nel mio lettore senza prestare la giusta attenzione. Cosa mi sono perso…

QUEEN MAB TRIO: “Skirmishes And Sudden Thrusts” (da Thin Air)
La successione sembra voluta… questo brano si sposa benissimo con quello appena ascoltato, anche se qui le donne sono tre, e suonano rispettivamente clarinetti (Lori Freedman), viola (Ig Henneman) e pianoforte (Marilyn Lerner). Si tratta di un buon esempio di mix di scrittura ed improvvisazione e rientra a pieno titolo nell’ambito dell’avanguardia olandese di cui fa parte la Henneman.

BILL EVANS TRIO: “My Man’s Gone Now” (da Sunday At The Village Vanguard)
Eccole, le mitiche Village Vanguard Sessions del trio di Bill Evans. Si tratta di una tra le prime cose in assoluto che ho ascoltato di ambito jazzistico, grazie al mio amico Emilio che mi presto’, circa vent’anni fa, un doppio lp. Nell’eseguire la composizione di Gershwin, Evans risulta particolarmente lirico, immergendosi completamente nel canto di disperazione di Bess che piange il suo Porgy. Il supporto che Evans riceve da Scott LaFaro e Paul Motian e’ memorabile e – insieme al resto delle registrazioni al Vanguard – costituisce un modello per esprimere il concetto musicale di interplay. Bellissimo l’assolo di LaFaro, mentre Evans ricama in sottofondo e Motian compie il suo encomiabile lavoro alle spazzole. Devo riprendere ad ascoltare queste registrazioni e verificare degli aspetti di Evans che affrontai qualche anno fa con Enrico.

FLEETWOOD MAC: “Dreams” (da Rumours)
Sobbalzo all’ascolto delle prime note di questo pezzo, la vera hit di un disco che Mick Fleetwood e compagni sfornarono nel 1977 e che risulta aver venduto ad oggi circa diciannove milioni di copie, terzo tra i dischi uscito negli anni Settanta dopo The Wall dei Pink Floyd e Led Zeppelin IV. Ritorno a quando avevo sedici anni. Il doppio Live del gruppo lo registrai su cassetta dal vinile di mio fratello Massimo, e già allora la voce di Stevie Nicks mi emozionava, così sensualmente rauca. Un brano dalla melodia semplice, ma bellissima.

RALPH TOWNER: “Train of Thought” (da Solo Concert)
Una chitarra che suona come un’orchestra, quella di Ralph Towner, un altro che gioca utilizzando il suo strumento anche come percussione (o ancora come cassa armonica per amplificare il rumore dei pacchetti di fiammiferi infilati tra le corde). Ascoltarlo dal vivo e’ uno spettacolo… e che dire di come suona il piano? L’avevo conosciuto attraverso i dischi del gruppo Oregon – Crossing ed Ecotopia, mi pare – e gia’ li’ rivestiva un ruolo fondamentale. Ma e’ nella performance solistica che dà il meglio di se’. Un musicista completo che ha una vena compositiva straordinaria. Aggiungere altro equivarrebbe a togliere.

DAVE DOUGLAS: “Lethe” (da Sanctuary)
Douglas e’ un altro musicista che meriterebbe un trattato, anche solo per la maniera con la quale si e’ imposto negli ultimi quindici anni. In questo brano, registrato nel 1996 ed inserito in un doppio cd, Douglas sembra rendere omaggio a quel periodo elettrico post-davisiano che si impose nei primi anni Settanta. Troppo importante per essere trattato velocemente in poche righe.

KURT ELLING: “And We Will Fly” (da Nightmoves)
Questo brano rispecchia in pieno il valore dell’intero ultimo cd di Elling: e’ veramente brutto. Una registrazione, questa, che si poteva tranquillamente evitare, anche perche’ Elling – cantante straordinario che adoro e che seguo sin dalla sua prima uscita del 1994 – qui non mostra nulla di buono di quello che lo aveva imposto all’attenzione di pubblico e critica negli anni passati. Se l’uragano vocale e’ sparito, non si dà qui spazio neanche al suo aspetto autenticamente lirico, se non fosse per una pregevole rilettura di “Body and Soul”. Fortunatamente l’ho acquistato con un economico download da circa un dollaro e mezzo.

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MIKE MELILLO / MASSIMO URBANI | Duet Improvisations For Yardbird https://www.soundcontest.com/duet-improvisations-for-yardbird/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=duet-improvisations-for-yardbird Tue, 30 Sep 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/duet-improvisations-for-yardbird/ Quando nel 1987 Paolo Piangiarelli fondo’ la PHILOLOGY, tra i primi dischi da pubblicare volle Massimo Urbani, e gli propose un disco memorabile, facendo incontrare il giovane saxofonista romano con Mike Melillo, che non aveva mai incontrato Urbani, ma che era stato per anni il pianista di Phil Woods, l’unico sax contralto che ha continuato […]

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Quando nel 1987 Paolo Piangiarelli fondo’ la PHILOLOGY, tra i primi dischi da pubblicare volle Massimo Urbani, e gli propose un disco memorabile, facendo incontrare il giovane saxofonista romano con Mike Melillo, che non aveva mai incontrato Urbani, ma che era stato per anni il pianista di Phil Woods, l’unico sax contralto che ha continuato la lezione di Charlie Parker, non emulandolo ma ponendosi come continuatore della sua musica, come discendente diretto e come il miglior rappresentante, a mio parere, dell’evoluzione che la musica di Bird avrebbe mai potuto avere se lui non ci avesse lasciato cosi’ presto.
Piangiarelli si lascio’ guidare dalla passione (memorabili le sue pubblicazioni di inediti di Parker) e riuni’ in studio un solista eccezionale come Massimo Urbani, un accompagnatore eccellente come Melillo e basta, oltre allo spirito di Charlie Parker.


“Duet Improvisations For Yardbird”, registrato in duo a Recanati il 23 marzo 1987, e’ un disco di totale improvvisazione per Bird.
Non un disco su Bird o sulla sua musica, ma proprio un disco per Bird, forse l’unico disco di Massimo Urbani apertamente dedicato a Charlie Parker.
“The Blessing”, che uscira’ per la Red Record nel febbraio del ’93, con la foto di Charlie Parker in copertina che osserva sorridente un piccolo Max che suona, non conserva lo stesso spirito se non nel solitario “Blues For Bird”.


In questo disco Urbani non incide neanche una traccia delle composizioni a firma di Parker, anche se diverse citazioni, fulminee, vengono fuori inaspettatamente fedeli agli impossibili originali sempre cangianti, ma suona tutti gli standard a lui cari.
Max non interpreta la musica di Parker ma respira a’ la Bird, seguendo l’ebbrezza dei suoi voli irraggiungibili ed anche il rischio delle sue cadute verso il basso, nella geniale forma improvvisata tanto cara a Bird, quanto a Max.
“Lover Man”, “Out of Nowhere”, “What is this Thing Called Love”, I’ll Remember April”, “Fine and Dandy”, si formano nell’aria con enorme rispetto della canzone stessa, suonate con l’intensita’ che e’ solo dei grandi solisti, con un gusto per l’avventura musicale che non e’ mirabolante o fantasmagorica, ma indaga tra le pieghe semplici della composizione, illumina gli angoli piu’ nascosti, ricerca con sobrieta’ e naturalezza fino a trovare la Poesia, sempre nuova, che solo i puri o gli innamorati sanno pronunciare.
Le sortite improvvisative di Melillo preparano il terreno, punteggiando le armonie e dilatando le forme, offrendo una sintesi di citazioni dell’arte del pianoforte jazz che riavvolgono il tempo, sospingendo verso l’alto la voce di Urbani, allo stesso tempo eterea e carnale, che non e’ mai stata dolce come in questo piccolo studio e che si dimostra, a tutti gli effetti, come una delle piu’ significative del panorama internazionale.
 
Poi arriva il brano “The Gypsy”, di William Gordon Reid, e tutto il disco prende la forma di un capolavoro.
“…quando gli ho chiesto di suonare The Gypsy, che e’ un brano che lo stesso Parker ha suonato una sola volta nella seduta storica e drammatica di Lover Man, Massimo non lo aveva mai sentito. Glielo feci sentire io in studio, una volta sola, e lui l’ha suonato subito dopo ad orecchio, l’ha suonato incerto come quello di Parker, due versioni entusiasmanti.
Parker suono’ a stento la melodia di The Gypsy perche’ stava male, la suono’ usando appena le note fondamentali del tema, era al minimo delle sue possibilita’ ed al massimo della sua creativita’. Ho tenuto presente quella seduta di Parker. Massimo suonando quel pezzo, ha accettato la sfida e si e’ messo nella condizione psicologica di Parker. Erano tutti e due in un momento di impedimento: Parker non aveva facolta’ mentali giuste in quel momento, Massimo non conosceva il pezzo; entrambi hanno fatto un capolavoro di un brano che non avevano mai suonato.”
 [Intervista a Paolo Piangiarelli di Carola De Scipio, in “L’avanguardia e’ nei sentimenti” – Stampa Alternativa 1999]


“Duet Improvisations For Yardbird”,
un capolavoro misconosciuto.



Musicisti:
Massimo Urbani, sax alto
Mike Melillo, pianoforte


Brani:
01. Everything Happens To Me
02. All The Things You Are
03. What Is This Thing Called Love
04. Fine And Dandy
05. Out Of Nowhere
06. Lover Man
07. I’ll Remember April
08. The Gypsy


Bonus tracks only for CD edition


09. Body And Soul
10. Everything Happens To Me (alt.)
11. The Gypsy (alt.)
12. What’s New


Links:
Philology Jazz Records:
www.philologyjazz.it/
Jazz from Italy: http://jazzfromitaly.splinder.com/

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Moacir Santos: Ouro negro (Adventure Music)


Moacir Santos e’ probabilmente il miglior arrangiatore espresso dalla musica brasiliana negli ultimi cinquant’anni. La sua musica densa di sfumature e dettagli, ricca e lussureggiante nella ritmica, ben consapevole dell’ampio respiro consentito dalle formazioni allargate, e’ parte attiva della cultura brasiliana sin dagli anni cinquanta. Ma il suo nome e’ quasi del tutto sconosciuto al di fuori del Brasile e anche in quel meraviglioso paese il grande pubblico non ha mai dato particolari segnali di accreditamento. Un grande artista abituato a stare nell’ombra, potremmo definirlo. Lo conoscono bene invece i musicisti brasiliani, molti dei quali sono passati per la sua scuola, in un modo o nell’altro. E lo conoscono molto bene il saxofonista Ze Nogueira e il chitarrista Mario Adnet che hanno voluto organizzare una tributo di grandissima qualita’ che consacra definitivamente il ruolo di Moacir Santos nel panorama della musica internazionale. In questo doppio album troviamo grandi nomi come Milton Nascimento, Djavan, Ed Motta, Gilberto Gil, Ricardo Silveira e tanti altri, compreso il compositore/arrangiatore stesso (che nel 2001, all’epoca della registrazione di questi 28 brani, aveva 74 anni portati benissimo). La strumentazione e’ quella della orchestra con fiati guizzanti e lussuriosi, ritmi che invitano a danzare dolcemente, voci piene di fascino e di saudade.



Pat Peterson: Do It Now (Enja – distr. Egea)


Per parlare di questo album da poco pubblicato che riporta una bella seduta di registrazione del 1982, potremmo prendere spunto dalla lunga militanza della cantante/pianista Pat Peterson alla corte di Ray Charles o dal fatto che e’ la sorella del famoso trombettista Marvin ‘Hannibal’ Peterson, o dagli eccellenti accompagnatori che la scortano in questi cinque lunghi brani. Partiamo invece dalla voce piena di pathos di questa donna che ci racconta le sue storie colme di passione e di emozioni, senza paura di toccare le corde piu’ alte della propria espressivita’, correndo il rischio calcolato di andare anche oltre le righe, con forzature espressive che pero’ testimoniano in realta’ la profondita’ del suo coinvolgimento dalle parti dell’anima. Il chitarrista John Scofield (pochi mesi prima di trasferirsi alla corte di Miles Davis) e’ un solista ben allineato alla poetica di Pat Peterson e la stessa cosa si puo’ dire tranquillamente del notissimo saxofonista David Fathead Newman. I tre sono ben sostenuti dal bassista T.M. Stevens (anche lui ha curiosamente una brevissima e poco nota esperienza con Miles, mai documentata da registrazioni ufficiali) e dal batterista Billy Hart che invece ricordiamo prezioso collaboratore di Herbie Hancock e, indovinate un pò, impegnato con il divino trombettista nel 1972 in occasione delle sedute di registrazione del bellissimo On The Corner.



Bire’li Lagre’ne Gipsy Project: Move (Dreyfus – distr. Egea)


Non siamo del tutto certi che la lunga ombra di Django Reinhardt abbia rappresentato un reale vantaggio per la carriera artistica di questo ancor giovane chitarrista sul quale si erano riposte belle speranza che sembrano andate un pò deluse. Intendiamoci, Bireli Lagrene e’ un ottimo chitarrista e anche questo album e’ suonato davvero bene, in pieno clima crepuscolare anni trenta, con la sua facilita’ di fraseggio sempre in bella evidenza. Quello che non ci convince del tutto e’ l’adagiarsi in un progetto dai sapori revisionisti che pare piu’ calcolato con l’ottica del marketing, senza la spinta di una reale urgenza espressiva. Ricordiamo il chitarrista francese impegnato a meta’ degli anni ottanta con Jaco Pastorius in situazioni dolce amare che mettevano impietosamente in evidenza la declinante fase del grande bassista ma allo stesso tempo lasciavano intravedere le grandi possibilita’ dell’allora giovanissimo chitarrista. Lo ricordiamo pochi anni dopo con l’orchestra-tributo di Gil Evans guidata dal figlio del grande arrangiatore. Erano situazioni comunque stimolanti, progetti che guardavano avanti, magari con cose da mettere ancora a punto, ma la direzione era quella giusta. Poi Bireli pare essersi un pò perso per strada e il peso della etichetta di ‘giovane Djangò che la critica aveva coniato sin dal suo primo comparire sulla scena europea, ha avuto l’inevitabile sopravvento.



Lars Danielsson: Libera Me (ACT – distr. Egea)


L’ottimo bassista svedese Lars Danielsson e’ il protagonista di questo album dalle sfumature intimiste e pastellate. L’ottima registrazione ulteriormente esaltata dalla tecnica SACD presenta dodici brani nei quali le formazioni cambiano pur restando sempre al servizio di un mood riflessivo, pieno di echi che sembrano arrivare da lontani ricordi, da viaggi solitari, da cavalcate di basso profilo che si spingono nell’ombra. Solisti importanti come Dave Liebman, Nils Petter Molvaer e Carsten Dahl si alternano al fianco del bassista, ben coadiuvati dal fantasioso batterista Jon Christensen, veterano di tante sedute ECM. In alcuni brani compare maestosamente anche la Danish Radio Concert Orchestra e il clima si fa per cosi’ dire piu’ convenzionale, perdendo forse un pizzico di quella dimensione un pò misteriosa che caratterizza il resto dell’album. Il leader prende ottimi assoli costruiti con eleganza e passione, profumati di sapori lignei che pervadono lo spazio scenico. Tutti i brani sono originali scritti, arrangiati e orchestrati dallo stesso Danielsson che pare avere un rapporto particolarmente intenso con il pianoforte di Dahl per una dialogo che sa spingersi con eleganza al di la’ della banalita’.

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I consigli di Sound Contest: dischi senza tempo… https://www.soundcontest.com/i-consigli-di-sound-contest-dischi-senza-tempo-2/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=i-consigli-di-sound-contest-dischi-senza-tempo-2 Mon, 24 Mar 2008 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/i-consigli-di-sound-contest-dischi-senza-tempo-2/ Matthieu Donarier: OpticTopic (YOLK) Il trio guidato dal saxofonista clarinettista francese Matthieu Donarier ci propone una musica molto moderna che prende ispirazione dal Sonny Rollins più avventuroso per arrivare al trio di Paul Motian con Bill Frisell e Joe Lovano. L’arco narrativo si snoda lungo 12 composizioni originali, tutte firmate dal leader ad eccezione di […]

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Matthieu Donarier: OpticTopic (YOLK)


Il trio guidato dal saxofonista clarinettista francese Matthieu Donarier ci propone una musica molto moderna che prende ispirazione dal Sonny Rollins più avventuroso per arrivare al trio di Paul Motian con Bill Frisell e Joe Lovano. L’arco narrativo si snoda lungo 12 composizioni originali, tutte firmate dal leader ad eccezione di una che è invece stata scritta dal batterista, il flessibile e felino Joe Quitzke. Il terzo componente del gruppo è il chitarrista Manu Codjia, già ben noto per il suo lavoro raffinato e graffiante allo stesso tempo a fianco del trombettista Erik Truffaz. I tre si sono conosciuti al conservatorio e hanno tenuto assieme questo progetto per ben sette anni prima di giungere alla registrazione di questo loro primo lavoro. Donarier si alterna al sax tenore e al soprano, al clarinetto in SIb e al clarinetto basso e mostra una ottima capacità di fare correre le storie che stanno dietro alla musica, le emozioni che sostengono le strutture compositive, il respiro vitale che fa alzare in cielo le linee melodiche frastagliate da ritmi organici che rincorrono il turbinio della metropoli e i ricordi ancestrali del deserto.



El-P: High Water (Thirsty Ear)


La collana diretta dal pianista Matthew Shipp ci propone una nuova avventura nella terra di nessuno che trasuda di energie metropolitane. Il progetto è affidato ad uno dei giovani esponenti più radicali della cultura hip-hop, quel Jaime Meline che ha scelto come nome di battaglia El Producto, successivamente abbreviato in El-P, sigla con la quale ha raggiunto una certa notorietà e con la quale firma questo High Water. A menare le danze sotto la direzione del leader è un gruppo di musicisti che hanno grande dimestichezza con Matthew Shipp e con questa serie di album di grande interesse e forte trasgressione. Sotto l’ombrello della denominazione ‘The Blue Series Continuum’ troviamo infatti la tromba di Roy Campbell, il sax e il flauto di Daniel Carter, il trombone di Steve Swell, il basso di William Parker, la batteria di Guillermo E. Brown, oltre al pianoforte di Shipp. El-P arrangia, compone, mixa, organizza, supervisiona, plasma la materia sonora, accettando il linguaggio aspro dei compagni di strada, le svariate influenze, la corrosione della trama. Ne viene fuori una miscela ustionante che si nasconde dietro soluzioni circolari che a volte paiono persino invitare ad una folle danza sotto la luna. Si sa, la vita è piena di falsi indizi. Da maneggiare con cura, meglio se con i guanti di gomma.



Eugene Chadbourne: Honky Tonk Im Nachtlokal (Leo Records)


Il folle dottore non si lascia scappare l’occasione per offrirci una sua ulteriore personale (sarebbe meglio dire personalissima) versione del country eamp; western, la musica che impera nella parte rurale degli States. Lo fa con la sua solita ironia estrema che comincia con le note di copertina come sempre esilaranti per poi arrivare ai quattordici folli pezzi contenuti in questo CD della Leo Records. Sono assemblati brani provenienti da quattro diverse formazioni che spaziano dall’inverno del 1996 alla primavera del 2002, con interpreti del tutto improbabili come un gruppo basco con violino e chitarre, un quartetto caratterizzato dallo scacciapensieri e dalla tromba del sicilianuzzo Roy Paci contrapposto al mandolino di Barry Mitterhoff (un ottimo musicista che ricordiamo in tour in Italia, nell’aprile del 2003, con Jorma Kaukonen) e all’armonica di Walter Daniels. La tradizione si sgretola all’improvviso dietro gli assalti dell’elettronica per poi riaffiorare come in un gigantesco gioco caleidoscopico nel quale non si sa più da dove si era partiti e dove si potrà arrivare. Per finire si tira per la giacca anche la buonanima di Rahsaan Roland Kirk, con un tributo improbabile che traduce nel linguaggio del country mischiato all’elettronica due dei suoi brani più famosi. Fuochi d’artificio colorati di patriottismo sbeffeggiato, ma conditi inevitabilmente con quel pizzico di orgoglio che nessun americano riesce mai a mettere in soffitta.

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SHIRLEY HORN | I Remember Miles https://www.soundcontest.com/i-remember-miles/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=i-remember-miles Wed, 22 Mar 2006 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/i-remember-miles/ Il recensore confessa … non ha resistito alla tentazione. Appena terminata una recensione multipla sul Miles Davis degli anni sessanta, ha lasciato che la sua mente andasse alla cantante/pianista Shirley Horn, che proprio a Miles aveva dedicato un bellissimo disco sul finire degli anni novanta. Sara’ per un senso di colpa dovuto al fatto di […]

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Il recensore confessa … non ha resistito alla tentazione.


Appena terminata una recensione multipla sul Miles Davis degli anni sessanta, ha lasciato che la sua mente andasse alla cantante/pianista Shirley Horn, che proprio a Miles aveva dedicato un bellissimo disco sul finire degli anni novanta.


Sara’ per un senso di colpa dovuto al fatto di non aver neanche fatto cenno alla scomparsa della cantante avvenuta lo scorso 20 ottobre, sara’ perche’ quel disco gli era da sempre rimasto dentro, e’ certamente giunto il momento di aggiungere un’altra bottiglia sugli scaffali della cantina della Riserva Speciale altriSuoni.


I Remember Miles, registrato nel dicembre del 1997 e pubblicato dalla Verve l’anno seguente, vinse il Grammy come miglior disco di vocal jazz dell’anno, anche se c’e’ da dire che e’ la dimensione musicale in senso piu’ ampio a renderlo un gran disco: solisti di livello assoluto; un repertorio che rimanda (salvo poche eccezioni) al Davis meno battuto; un’atmosfera particolarmente raccolta, misurata e discreta. Quanto basta per renderlo un lavoro imperdibile.


Fu nel decennale della morte del divino che Shirley Horn chiamo’ intorno a se un gruppo di musicisti di prima grandezza, alcuni dei quali (Ron Carter ed Al Foster) avevano fatto parte delle formazioni davisiane in periodi piu’ o meno felici della carriera di quest’ultimo.


Ma e’ sul rapporto di Shirley Horn con Miles Davis che vogliamo puntare per un attimo l’attenzione. La cantante/pianista era solita introdurre i concerti di Miles al Village Vanguard, e lo faceva con un repertorio che includeva tre delle ballads che ha poi registrato in questo disco e che lo stesso Miles registro’ subito dopo in Seven Steps To Heaven: “I Fall In Love Too Easily”, “Baby Won’t You Please Come Home” e “Basin Street Blues”.


È sulla dimensione raccolta, meditativa, intimista che Shirley Horn spinge l’intero lavoro, dando l’impressione di lavorare per sottrazione anche quando la dimensione ‘naturale’ del brano e’ gia’ raccolta in partenza, come accade ad esempio per “Blue In Green”: qui la Horn si mostra una raffinatissima pianista non esponendo mai il celebre tema davisevansiano, anzi sottintendendo lo stesso nella prima parte mediante una successione di accordi che danno comunque il risultato di farlo ‘sentire’ ancor piu’ che ‘ascoltare’.


Tra gli altri brani ricordiamo una “Summertime” particolarmente bluesy con in evidenza l’armonica dell’eterno Toots Thielemans e “My Man’s Gone Now”, che qui si allontana dall’originale gershwiniano e dalla versione di Miles Davis e Gil Evans del 1958 (inclusa in Porgy and Bess), per riferirsi in maniera esplicita alla rilettura che lo stesso Miles ne diede nell’ottobre del 1981 nel live immortalato poi col titolo di We Want Miles.


Tra i solisti una particolare menzione merita il trombettista/flicornista Roy Hargrove, bravo di volta in volta a calarsi nella dimensione davisiana o nell’allontanarsi da essa, mostrandosi comunque molto rispettoso e poco invasivo, lui che ha la naturale tendenza a far udire sempre il proprio strumento.


Da notare che la copertina del disco e’ un’altra chicca: un disegno autografo di Miles con dedica alla pianista.


Di Shirley Horn che dire? Straordinaria cantante, raffinatissima pianista e, soprattutto donna dallo spiccato senso artistico. I Remember Miles! But We Remember Shirley Too!!!


 


Musicisti:
Shirley Horn, pianoforte, voce
Roy Hargrove, tromba, flicorno (2/6/7/8)
Buck Hill, sax tenore (4)
Toots Thielemans, armonica (3)
Ron Carter, contrabbasso (2/3/4/7/8)
Charles Ables, contrabbasso (1/6/8/9)
Al Foster, batteria (2/3/4/7/8)
Steve Williams, batteria (1/6/8/9)


Brani:
01. My Funny Valentine (Rodgers/Hart) – 5.33
02. I Fall In Love Too Easily (Cahn/Styne) – 5.39
03. Summertime (Gershwin/Heyward) – 4.59
04. Baby, Won’t You Please Come Home (Warfield/Williams) – 7.21
05. This Hotel (Quine/Keating) – 3.37
06. I Got Plenty O’ Nuttin’ (Gershwin/Gershwin/Heyward) – 3.39
07. Basin Street Blues (Williams) – 5.28
08. My Man’s Gone Now (Gershwin/Heyward) – 10.39
09. Blue In Green (Davis/Evans/Jarreau) – 5.59


Links:
Verve: www.vervemusicgroup.com
EMI Italiana: www.emimusic.it

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RAVA / D’ANDREA / VITOUS / HUMAIR | Quatre https://www.soundcontest.com/quatre/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quatre Wed, 22 Mar 2006 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/quatre/ Il 1989 vide in Italia il tour di un quartetto che registrò due cd, il primo per l’ormai scomparsa etichetta italiana Gala, il secondo per la francese Label Bleu. Quatre, questo il nome del gruppo, era costituito da nomi di grido della scena jazzistica europea, e ci riferiamo ai nostri Enrico Rava alla tromba e […]

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Il 1989 vide in Italia il tour di un quartetto che registrò due cd, il primo per l’ormai scomparsa etichetta italiana Gala, il secondo per la francese Label Bleu.


Quatre, questo il nome del gruppo, era costituito da nomi di grido della scena jazzistica europea, e ci riferiamo ai nostri Enrico Rava alla tromba e Franco D’Andrea al pianoforte, oltre che al contrabbassista Miroslav Vitous ed al batterista Daniel Humair.


Coloro che ebbero la fortuna di assistere ad uno di questi concerti ricorderanno ancora l’impatto sonoro del gruppo, l‘interplay, il lirismo di Rava, le trame pianistiche di D’Andrea, le linee di contrabbasso di Vitous, i colori delle percussioni di Humair.


Fatta eccezione per un paio di standards (“My Funny Valentine“, “Round Midnight” e qualche altro), nei concerti venivano eseguiti i brani registrati su disco, tutti originals che mostravano le capacità compositive dei quattro oltre che le loro straordinarie doti interpretative.


Il disco, intitolato Quatre (manco a dirlo), risulta ben strutturato, con un’equilibrata alternanza di brani sostenuti come “Mode For Versace” ed altri a tempo medio come “Merano”, con uno straordinario ostinato contrabbassistico di un Vitous assolutamente sublime. Tra gli altri brani vanno altresì menzionati la bellissima “F. Express” (con un Rava in grande spolvero per intensità) nonchè “Autoscontri” di D’Andrea, brano che, oltre a vedere il pianista suonare cellule onomatopeiche che rimandano proprio alle piccole vetture da luna park, viene introdotto da un minuto e mezzo di solo contrabbasso nel quale Vitous, suonando con la tecnica del pizzicato e con l’archetto, dà il meglio si sè in dimensioni sonore che sanno di cameristico.


Un disco che rappresenta al meglio una stagione felice del jazz di casa nostra.



 


Musicisti:
Enrico Rava, tromba, flicorno
Franco D’Andrea, pianoforte
Miroslav Vitous, contrabbasso
Daniel Humair, batteria


 


Brani:
01. Mode For Versace (Humair) – 7.55
02. F. Express (Rava) – 8.20
03. Small Events (Vitous) – 1.30
04. Autoscontri (D’Andrea) – 5.25
05. Merano (D’Andrea) – 8.00
06. Flee Jazz (Rava) – 7.05
07. Quatre (Humair) – 9.27
08. Two On Quatre (Rava) – 2.30


 


Link:
Enrico Rava: www.enricorava.com
Franco D’Andrea: www.francodandrea.com
Miroslav Vitous: http://www.ejn.it/mus/vitous.htm

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CHARLES MINGUS | Me Myself An Eye https://www.soundcontest.com/me-myself-an-eye/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=me-myself-an-eye Wed, 22 Mar 2006 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/speciali/me-myself-an-eye/ Tra il 18 ed il 23 gennaio 1978, Charles Mingus condusse tre sedute di registrazione che diedero vita ai suoi ultimi due album, Something Like a Bird e Me, Myself an Eye. Entrambi furono realizzati con un ensemble molto allargato, nel quale lo storico contrabbassita figurava esclusivamente come compositore e come leader, non essendo più […]

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Tra il 18 ed il 23 gennaio 1978, Charles Mingus condusse tre sedute di registrazione che diedero vita ai suoi ultimi due album, Something Like a Bird e Me, Myself an Eye. Entrambi furono realizzati con un ensemble molto allargato, nel quale lo storico contrabbassita figurava esclusivamente come compositore e come leader, non essendo più in grado di suonare il suo strumento per il progredire della malattia che lo condurrà alla morte di lì a poco.


E diciamo subito che, nel lavoro di cui parliamo, l’assenza ‘strumentale’ di Mingus al contrabbasso si sente, eccome, sebbene i musicisti che lo sostituiscono siano personaggi di indubbio valore. Segno che, per la musica, la somma non fa il totale.


I quattro brani che si ascoltano in questo CD sono facilmente classificabili nelle varie fasi di sviluppo del linguaggio mingusiano.


Il primo, “Three Worlds of Drums”, è una lunga escursione nelle sonortà che fanno chiaramente riferimento al Messico, una terra che ha accompagnato fasi importanti della vita di Mingus, dalla nascita a Nogales (città di frontiera) fino alla morte avvenuta a Cuernavaca, passando per alcuni fondamentali viaggi sonori come Tijuana Moods e Cumbia eamp; Jazz Fusion.
“Devil Woman” e “Wednesday Night Prayer Meeting” fanno invece parte del repertorio consolidato del contrabbassista, in particolare di quella prima fase Atlantic in cui, tra il 1956 ed il 1961, videro la luce dischi memorabili come Blues and Roots e Oh, Yeah, nei quali sono rispettivamente presenti i due brani citati.


Infine, la conclusiva “Carolyn Keki Mingus”, una ballad che rientra in quel filone ‘romantico’ che è sempre stato presente sin dagli inizi della carriera di Mingus.
Nonostante il vasto numero di musicisti impiegati – che costituiranno l’ossatura delle varie Mingus Dinasty e Mingus Big Band – l’impatto sonoro non arriva ai livelli che Mingus seppe raggiungere con organici ben più ristretti; così come il contrabbasso dei pur bravi Eddie Gomez e George Mraz non riesce mai ad avvicinarsi a quell’intensità sonora ed emotiva, che caratterizzava ogni singola nota del leader. E la cosa si avverte, anche troppo.
Non mancano certo in questo lavoro momenti degni di nota, come ad esempio il breve ma intenso assolo di Michael Brecker in “Devil Woman” o come l’indelebile segno lasciato da Lee Konitz in “Carolyn Keki Mingus”.
Musica di qualità, certo, ma non tale da far parte della pur vasta ‘discografia essenziale’ di Charles Mingus.


 


 
Musicisti (formazione complessiva):
Ken Hitchcock (sax soprano, sax contralto)
Lee Konitz (sax contralto)
Yoshiaki Malta (sax contralto)
Akira Ohmori (sax contralto)
Daniel Block (sax tenore)
Michael Bracker (sax tenore)
Ricky Ford (sax tenore)
John Tank (sax tenore)
George Coleman (sax tenore)
Pepper Adams (sax baritono)
Ronnie Cuber (sax baritono)
Craig Purpura (sax baritono)
Randy Brecker (tromba)
Mike Davis (tromba)
Jack Walrath (tromba)
Jimmy Knepper (trombone)
Slide Hampton (trombone)
Keith O’Quinn (trombone)
Larry Coryell (chitarra)
Ted Dunbar (chitarra)
Jack Wilkins (chitarra)
Bob Neloms (pianoforte)
Eddie Gomez (contrabbasso)
George Mraz (contrabbasso)
Joe Chambers (batteria)
Steve Gadd (batteria)
Dannie Richmond (batteria)
Sammy Figueroa (percussioni)
Ray Mantilla (percussioni)
Paul Jeffrey (direzione)


Brani:
01. Three Worlds of Drums (Mingus) – 30:21
02. Devil Woman (Mingus) – 9:24
03. Wednesday Night Prayer Meeting (Mingus) – 9:50
04. Carolyn “Keki” Mingus (Mingus) – 7:44

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