Trent’anni senza Bob, trent’anni senza sogni

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E’ difficile scrivere qualcosa su una figura cosi’ imponente come Bob Marley: difficile, ma necessario, nel trentennale della sua scomparsa. Questo ragazzo (strappato alla vita all’eta’ di 36 anni) divenne in pochi anni la prima superstar musicale a provenire dal cosiddetto Terzo Mondo (la Giamaica, un’isola di due milioni e mezzo di abitanti, da poco tempo affrancatasi dal giogo coloniale britannico), e un emblema ed un simbolo per tutti gli abitanti delle periferie del Pianeta Terra, che adottarono il reggae quale loro genere sonoro d’elezione e si abbeverarono ai (bellissimi) testi di Marley come ad una fonte inesauribile di ispirazione: canora e… pratica (perche’ tutti i sommovimenti rivoluzionari degli ultimi sei o sette lustri hanno avuto per colonna sonora la sua voce e le sue note).


Quando cominciai ad ascoltare Robert Nesta Marley (questo il suo nome completo), egli era gia’ morto: fu un mio carissimo zio a parlarmi di lui in termini assai elogiativi. Devo dire pero’ che, sentendo le sue canzoni, non provai nessuna emozione particolare: anzi, per molto tempo, le sole No woman no cry e Jammin costituirono l’alfa e l’omega della mia frequentazione marleyana, per dir cosi’. Fu verso i diciotto anni che cominciai ad entrare completamente nel suo universo espressivo; merito di una trasmissione che andava in onda su Raiuno e si chiamava Notte rock. In una serata dedicata completamente al re del reggae, ammirai i video di pezzi quali Stir it up, Rastaman chant, Bad card e Redemption song e restai completamente rapito ed ammaliato dall’ascolto di simili delizie. Da allora, la musica di Bob non mi ha piu’ abbandonato; anzi, e’ stata una presenza discreta e costante nel corso della mia esistenza. Cosi’ ho potuto soffermarmi su alcuni particolari della produzione in questione a mio modesto avviso invero essenziali e preziosi; innanzitutto, il calore avvolgente della straordinaria voce.


Per molto tempo mi sono arrovellato pensando che sarebbe stato meraviglioso ascoltare un album di sole cover realizzato da Bob: When a man loves a woman o una dylaniana Masters of war che trattamento avrebbero ricevuto dopo essere transitate per l’ugola di Bob stesso? Certamente, il fatto che si siano realizzate pochissime versioni delle sue, di canzoni, da parte di artisti famosi testimonia l’oggettiva difficolta’ ad avvicinarsi al repertorio marleyano. Del resto, i pezzi che scriveva erano realizzati ed arrangiati benissimo: il ritmo in levare del reggae nei pezzi di cui sopra si sposava ed intrecciava con uno spettro sonoro assai ampio, che inglobava il rythm and blues, il soul, il jazz (nei meravigliosi inserti della sezione fiati) e addirittura la disco-music: una varieta’ espressiva da far girare la testa, e che il reggae stesso, nella sua evoluzione, non avrebbe mai piu’ replicato in questo modo.


Allo stesso tempo, gli artisti piu’ disparati inglobarono il ritmo in levare del reggae sopracitato nelle proprie realizzazioni: i Police, i Clash, Stevie Wonder, Frank Zappa e Fabrizio De Andre’ diedero vita a delle miniature davvero efficaci e pregnanti. E poi quei testi: la religione rastafariana professata da Marley, che si basava sul culto dell’imperatore etiope Haile Selassie’ e sul ritorno dei neri d’America e dell’intero globo terracqueo nella casa madre Africa, divenne il veicolo per la scrittura di liriche le quali esaltarono ed incendiarono le giovani generazioni all over the world, all’epoca ancora convinte che l’assalto al cielo fosse possibile e la rivoluzione una prospettiva concreta e realizzabile.


I racconti del mio carissimo zio si soffermarono una volta su un profugo cileno che aveva conosciuto a Milano: egli confesso’ che non riusciva ad ascoltare il pezzo Burnin’ and Lootin’ (quello che Matthieu Kassovitz pose al principio del bellissimo film L’odio) senza piangere pensando al colpo di stato che aveva messo in atto nella sua terra natia il generale Augusto Pinochet.


“Questa mattina mi sono svegliato con il coprifuoco/ oh Dio, ero anch’io prigioniero/ non riconoscevo le facce che incombevano su di me tutte abbagliate in uniformi di brutalita’/ quanti fiumi dobbiamo attraversare/ prima di poter parlare al Capo/ tutto quello che avevamo sembra perduto/ dobbiamo proprio aver pagato il prezzo/ (e percio’ che noi) stanotte bruceremo e saccheggeremo……… stanotte bruceremo tutta la corruzione (oh si, si)/ stanotte bruceremo tutte le illusioni/ oh fermateli……/ stanotte si piange e si geme (abbiamo sofferto tutti questi lunghi, lunghi anni…..)”.


Naturalmente, nel corso dei decenni successivi l’universo delle sette note non avrebbe dato vita a nulla di lontanamente paragonabile a una simile esplosione socio-culturale. La straziante nostalgia per essa e’ a tutt’oggi palpabile e lacerante, e naturalmente si tratta del motivo per cui in tutto il mondo il giovane uomo con le treccine viene in queste ore ricordato con tanto affetto e passione.