Il ‘suono’ del sax tenore che non ascoltiamo piu’ da vent’anni

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Certo, il musicista bianco nel jazz… bisognerebbe forse chiedersi il perche’ delle vite parallele (segnate dalla tossicodipendenza) del pianista Bill Evans, del trombettista Chet Baker, del sassofonista Stan Getz: tutti strumentisti straordinari, tutti vittima di una sorta di “razzismo” all’incontrario: perche’ se e’ vero che il jazz stesso e’ uno dei linguaggi espressivi afroamericani per eccellenza, se e’ vero che il substrato socio-politico-culturale dei neri d’America (per l’appunto) e’ stato uno dei corroboranti indispensabili e necessari per dar vita alle superbe realizzazioni artistiche di questo genere musicale, e’ altrettanto vero che l’approccio mentale di critici, ascoltatori ed appassionati del jazz in questione talvolta e’ stato un po’ altezzoso e presuntuosetto verso le figure menzionate all’inizio…

Prendiamo proprio il caso di Stan Getz, di cui ricorre oggi l’anniversario della scomparsa avvenuta vent’anni fa: mentre John Coltrane realizzava le sue opere monumentali e Sonny Rollins deliziava gli ascoltatori con le sue torrenziali improvvisazioni, che cosa combinava il loro collega di strumento? Cosi’ come il grande scrittore ando’ a risciacquare i panni in Arno, egli andava ad abbeverarsi ai nuovi ritmi che si costituivano nella parte inferiore del continente, in Brasile specificamente: la nascita del genere musicale chiamato bossanova alla fine degli anni ’50 trovo’ nel chitarrista statunitense Charlie Byrd e nel nostro sassofonista due precisi e notevoli divulgatori: l’album che realizzarono insieme, Jazz samba, sembra sia a tutt’oggi il disco jazz, per l’appunto, piu’ venduto di ogni tempo: la canzone che lo apriva, Desafinado, ottenne un tale successo che il buon Stan la presentava dai palchi sui quali si esibiva con le seguenti parole: “ecco il brano che mi permettera’ di pagare l’universita’ ai miei cinque figli”.

Sull’onda del successo suddetto, lui porto’ negli States i protagonisti principali del genere musicale chiamato bossanova: il compositore e pianista Antonio Carlos Jobim e il chitarrista Joao Gilberto per realizzare un prodotto chiamato proprio cosi’: Getz/Gilberto in cui si esibiva al canto pure la moglie di quest’ultimo, Astrud. Ebbene, altre copie vendute a palate, ed altre palate di fango dai jazzisti ortodossi che rimproveravano a una simile produzione il facile ascolto ed il disimpegno, in un periodo dove effettivamente i fermenti politico-sociali erano abbastanza ribollenti ed influivano completamente su un prodotto artistico di qualsivoglia natura: solo che il prodotto artistico in esame aveva caratteristiche tutte sue non necessariamente coincidenti con le mode del periodo: il fraseggio vellutato, suadente e quasi impalpabile del sassofonista abbisognava proprio di un simile contesto per dispiegarsi appieno in tutta la sua bellezza, e la musica che ne veniva fuori non era certamente un urlo di rabbia o dolore, ma una conversazione a voce bassa che richiedeva concentrazione e silenzio per essere apprezzata. Chissa’, forse fu la mancanza di questa concentrazione e silenzio a sospingere Getz nel tunnel della droga (per pagarsi la dose tento’ una rapina in un drugstore e venne pure arrestato) da cui non usci’ mai del tutto, ed a spingerlo sempre un passo indietro rispetto alla prima fila dei musicisti jazz piu’ amati, seguiti e riveriti: dopo il successo strepitoso dei dischi sopracitati, il nostro progressivamente scivola nell’oblio (del resto, e’ il jazz intero nella decade dei ’70 a vivere un momento di crisi): le sue esibizioni e i suoi album vengono accolti come quelli dello zio un po’ rimbambito che fa parte della famiglia, e dunque va ascoltato, ma con la condiscendenza bonaria riservata a un mezzo scemo, sostanzialmente: e’ dopo la morte che viene rivalutato.

Allora “The sound“, il suono, il soprannome che gli venne affibbiato all’ascolto dellla sua sonorita’ limpida e pacata, verra’ universalmente riconosciuto come uno dei piu’ belli probabilmente mai uditi nell’intera storia del jazz: allora il ragazzo che aveva cominciato ad esibirsi sulla scia di Lester Young, il tenore caposcuola della scuola cool, sara’ celebrato come l’allievo che supera il maestro: allora l’assoluta maesta’ di registrazioni quali People Time, effettuate tre mesi prima della scomparsa dal vivo in quel di Copenhagen con il pianista Kenny Barron, spingera’ gli stessi critici, appassionati ed ascoltatori altezzosi e presuntuosi fotografati nelle righe sopra a lodi sperticati ed a parole elogiative verso una purezza assoluta ed una trascendenza totale della materia musicale, davvero esaltata dal buon vecchio Stan.

Chissa’ se oggi i principali quotidiani lo ricorderanno, chissa’ se qualche rete televisiva trasmettera’ un servizio dedicato a lui, certamente i brividi di piacere e l’ammutolimento quasi estatico che il sottoscritto prova all’ascolto del “suono” chiedevano di essere, almeno in parte, espressi a parole. Ed e’ quanto ho cercato di fare, umilmente ma convintamente!!!