Dodicilune Archivi - Sound Contest https://www.soundcontest.com/tag/dodicilune/ Musica e altri linguaggi Thu, 18 Jan 2024 12:04:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.1 CLAUDIO ANGELERI feat. GIANLUIGI TROVESI | Concerto https://www.soundcontest.com/claudio-angeleri-feat-gianluigi-trovesi-concerto/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=claudio-angeleri-feat-gianluigi-trovesi-concerto Thu, 18 Jan 2024 12:04:18 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63598  Concerto è un progetto musicale molto originale, sia nella genesi che nella realizzazione, nella composizione, nell’interpretazione e nella proposizione dei brani che – fatta eccezione per la Lacrimosa tratto dalla Messa da Requiem op. 73 di Gaetano Donizetti – sono tutti frutto della genialità di Claudio Angeleri, “titolare dell’impresa”, pianista, compositore e arrangiatore, nonché […]

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CLAUDIO ANGELERI feat. GIANLUIGI TROVESI
Concerto
Dodicilune - IRD
2023

Concerto è un progetto musicale molto originale, sia nella genesi che nella realizzazione, nella composizione, nell’interpretazione e nella proposizione dei brani che – fatta eccezione per la Lacrimosa tratto dalla Messa da Requiem op. 73 di Gaetano Donizetti – sono tutti frutto della genialità di Claudio Angeleri, “titolare dell’impresa”, pianista, compositore e arrangiatore, nonché insegnante ed autore di libri di didattica musicale, con i testi di Alessia Marcassoli negli unici due brani cantati.

Il progetto, nato nell’ambito delle iniziative per celebrare Bergamo|Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, intende celebrare diversi personaggi che hanno saputo rendere illustre nei secoli i territori bresciani e bergamasco ciascuno con il proprio talento o conoscenza in ogni ambito, dalla scienza alla musica, dalla letteratura all’architettura e all’arte.

Affiancandosi il clarinettista Gianluigi Trovesi, che non necessita di presentazioni e col quale non è nuova la collaborazione in ambito artistico, Angeleri ha affrontato la sfida di vestire di musica, interpretare e raccontare il valore e l’importanza che hanno assunto nella storia personaggi, illustri e non, originari del territorio, della levatura di Arturo Benedetti Michelangeli nella musica, Niccolò Tartaglia nelle scienza matematiche, Michelangelo Merisi detto “il Caravaggio” nella pittura, Giacomo Costantino Beltrami nell’esplorazione di terre sconosciute, Giacomo Quarenghi nell’architettura e nella pittura, Gaetano Donizetti, genio indiscusso della musica classica, Torquato Tasso nella letteratura, assieme alle “donne comuni”, gente del popolo, protagoniste nella Resistenza.

Concerto nasce dunque come un’istantanea, la registrazione “unica” ed originale di un evento, di una delle tante rappresentazioni, tenutasi nell’Auditorium Modernissimo di Nembro (BG), nell’abito delle iniziative culturali legate alla Capitale Italiana della Cultura 2023.

Il CD, prodotto da Dodicilune  e disponibile anche sulle maggiori piattaforme digitali, è quindi una fotografia irripetibile – tra le tante possibili – dell’”attimo” che riunisce tutte la fasi di progettazione, di composizione e di rappresentazione, caratterizzata da qualche immancabile momento d’improvvisazione, indispensabile per rendere “viva“ e inimitabile qualsiasi esibizione.

Delle componenti “live” del concerto mancano (purtroppo!), a causa degli ovvi limiti del supporto, i testi, i racconti, le immagini, i video, e tutti gli elementi narrativi di contorno.

Spiccano invece, ben evidenti, tutte le talentuose doti di Angeleri che ha saputo coniugare nelle sue composizioni – complice le lunghe e approfondite esperienze acquisite in quasi tutti gli ambiti musicali – spunti stilistici diversi, rivenienti dal gospel come dalla musica popolare mediterranea con il jazz e la musica classica, momenti aritmici e atonali con il “bel canto” e con passaggi armonici e melodici e struggenti, facendo emergere in tutti gli ambiti la disinvoltura artistica e professionale dell’intero gruppo.

E ancora – è necessario sottolineare – la capacità di raccontare, attraverso la trasposizione in musica, la musica stessa con la scienza e le arti, la pittura con l‘architettura e la matematica, la letteratura con l’intraprendenza dell’esplorazione, in un singolare esperimento multidisciplinare (invero ottimamente riuscito).

Anche nella formazione dell’ensemble, Angeleri ha saputo riunire una band di professionisti accomunati da un afflato artistico di grande spessore, oltre al già citato Gianluigi Trovesi ai clarinetti, si sono affiancati Gabriele Comeglio al sax alto, Giulio Visibelli al sax soprano e flauto, Marco Esposito al basso elettrico, Matteo Milesi alla batteria, Nicholas Lecchi giovane sax-tenorista emergente ospite nel brano Ritratti, Paola Milzani solista vocale che ha curato anche la direzione del coro The Golden Guys.

Genere: Jazz – Classic – Contemporary

Musicisti:

Claudio Angeleri, Piano, Compositions
Gianluigi Trovesi, Alto & Piccolo Clarinet
Giulio Visibelli, Soprano Sax, Flute
Gabriele Comeglio, Alto Sax, Flute
Marco Esposito, Electric Bass
Matteo Milesi, Drums
Nicholas Lecchi, Tenor Sax (8)
Paola Milzani, Vocals

The Golden Guys Choir:
Candida Birolini, Claudia Busnelli, Silvia Santi, Elena Bettinsoli, Francesca Chiara Di Filippo, Elena Biagioni, Albina Doninelli, Francesca Facchinetti, Elisabetta Giordano, Beatrice Joyce Wahab, Michela Belotti, Arianna Carsana, Simona Romano, Guido Cremonino, Stefano Damaro, Nicola Legati, Marco Previtali, Uberto Tedoldi, Fabio Vitto, Tino Bertoli, Roberto Gandossi, Luca Monteverdi – Vocals (2, 5, 8)

Tracklist:

01. Il triangolo di Tartaglia (a Niccolò Tartaglia)
02. Lacrimosa (Gaetano Donizetti, Messa da Requiem, Op.73)
03. Arturo (ad Arturo Benedetti Michelangeli)
04. Light and dark (a Michelangelo Merisi Caravaggio)
05. Armida (a Torquato Tasso)
06. Ermitage (a Giacomo Quarenghi)
07. Roots (a Giacomo Costantino Beltrami)
08. Ritratti (alle donne della resistenza)

Link:

Dodicilune

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LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT | Start from Scratch https://www.soundcontest.com/livio-bartolo-variable-unit-start-from-scratch/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=livio-bartolo-variable-unit-start-from-scratch Mon, 04 Sep 2023 07:29:52 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=61934 Si configura una discografia ormai diversificata per il chitarrista tarantino, già vantante all’incirca una dozzina di incisioni, e non poche con la presente formazione Livio Bartolo Variable Unit, della quale vorremmo ricordare almeno la più recente Don’t Beat a Dead Horse (2020) orientata verso l’evitamento della forma lineare e la predilezione dell’anti-schematismo. Il nuovo album […]

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LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT
Start from Scratch
Dodicilune Ed535
2022

Si configura una discografia ormai diversificata per il chitarrista tarantino, già vantante all’incirca una dozzina di incisioni, e non poche con la presente formazione Livio Bartolo Variable Unit, della quale vorremmo ricordare almeno la più recente Don’t Beat a Dead Horse (2020) orientata verso l’evitamento della forma lineare e la predilezione dell’anti-schematismo.

Il nuovo album “Start from Scratch” (o “ripartenza da zero”) non sembra seguire alla lettera il concetto di riferimento, rilevando anzi, sulle prime, notevoli connessioni formali con l’esperienza precedente, salvo ampliarne il ventaglio stilistico e la gamma di segni di riferimento.

Piuttosto palese una doppia tipologia di formazione dell’animatore, centrata su un curriculum jazz ma anche sull’apertura verso le avanguardie del Novecento, qui più salienti in quanto identificabili a varie riprese nel corso della sequenza, rappresentandone motivi ricorrenti ed influenti.

Non dismessa la lezione di base, appresa da un innovatore del calibro di Henry Threadgill, nella preparazione conferita al lavoro si evidenzia un’appropriazione relativamente spregiudicata di materiali importanti quanto eterogenei e dall’accostamento non certo scontato, già limitandosi ai nomi d’area pop-jazz citati dalle note, passanti da Eric Dolphy a Terje Rypdal.

Ne è un riflesso la successione dei materiali, che già dall’avvio sembrano determinare una disorientante fusione tra sentori bartokiani ed un certo clima neo-prog, poi procedendo con libertà schematiche e soprattutto in agilità ideativa, incorporando intimismi in-acustico, leganti post-romanticismo e visionarietà ‘brit’ d’impronta frippiana, lasciando emergere con teatralità sortite individuali di vivace spirito cameristico.

Vorremmo forse moderare l’entusiasmo del redattore delle note, che tira in ballo non soltanto grandi padri del jazz, ma si spinge ad incomodare i numi della Dodecafonia – ma è pur vero che suggestioni schoenberghiane emanano dalla fisonomia di più passaggi, tra linee spezzate d’arco e voluttuosi momenti danzanti, così come riescono piuttosto identificabili atmosfere lievi e grottesche della stravinskiana Histoire du Soldat (più salienti e concitate tra quarta e la quinta parte).

È noto il senso di sufficienza esplicitato dai praticanti jazz/pop di percussione, nonché di chitarra, nei confronti delle loro controparti del mondo classico/accademico, ma qui le demarcazioni riescono alquanto superate e labili, adattandosi il set di batteria a reincarnare stilemi orchestrali così come a sviluppare autentici quanto inattesi drum-solo (From) e, quanto alle morfologie chitarristiche del leader, lo stesso mostra dimestichezza sia con gli estesi canoni della classicità che con le proteiformi nuove incarnazioni, dal bacino del blues alle ricadute più attuali. Altrettanto vitali per la riuscita d’insieme sia le parti d’arco che i fiati, che guadagnano una diversa dimensione espressiva nella quinta e conclusiva parte (Ending), di relativa catarsi rispetto all’impegnativa regia scrittoria della prime quattro, configura piuttosto un libero laboratorio elettroacustico di ristoro e visionarietà.

Del motivato leader e regista Livio Bartolo vorremmo citare una sintesi delle parole introduttive:

“Questo disco racconta l’evoluzione della mia ricerca intervallare che ho iniziato alcuni anni fa. Durante il primo lockdown pandemico ho avuto molto tempo per pensare e sviluppare nuove strategie nel mio pensiero musicale, concentrandomi su me stesso e osservando la situazione della pandemia mondiale in quel momento.

Ogni lavoro della Unit è basato su un concetto compositivo e improvvisativo differente, ho deciso di darle ogni volta un assetto diverso, provando e sperimentando con diversi musicisti e strumenti. Il sodalizio con tutti i musicisti della Unit è nato casualmente, ritrovandoci in contesti anche non professionali: la cosa che accomuna tutti i musicisti partecipanti è la genuina intenzione di fare musica e spingersi sempre un po’ oltre gli schemi”. 

Rilevando ‘en passant’ un nuovo, ulteriore contributo alla sotto-sezione avant-garde dell’etichetta salentina Dodicilune, la presente incisione in particolare sembra discostarsene in primis in forza dei più labili legami letterali e sintattici con le forme-jazz, palesando una progettualità più articolata che fa propri anche modelli storici, il tutto efficacemente rappresentato dall’eclettismo dell’ensemble.

Quest’ultimo insomma, se non spariglia le carte certamente riformula assetti ed instrumentarium, investendo su rinnovate configurazioni e maggiori diversificazioni di impianto scenico e progressione narrativa; pur senza proterve ambizioni di installarsi spalla a spalla con i massimi rappresentanti dei maggiori filoni della sperimentazione contemporanea (in realtà da identificarsi), il Variable Unit segna coi fatti un punto vincente, segnato da inclinazione radicale, metabolizzazione meta-storica ed espressione proteiforme.

 

Musicisti:

Livio Bartolo, chitarra acustica ed elettrica, direzione
Anais Drago, violino
Francesca Remigi, batteria
Andrea Campanella, clarino basso, clarinetto
Aldo Davide Di Caterino, flauti
Pietro Corbascio, tromba

Tracklist:

1. Part One (Start) 10:16
2. Part Two (From) 8:58
3. Part Three _ A.L.F.F. (Scratch) 7:38
4. Part Four (Scherzo) 5:08
5. Part Five (Ending) 3:26

Link:

Livio Bartolo

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SERGIO ARMAROLI | Vibraphone solo in four part(s) https://www.soundcontest.com/sergio-armaroli-vibraphone-solo-in-four-parts/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sergio-armaroli-vibraphone-solo-in-four-parts Thu, 06 Apr 2023 07:00:54 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=60112 “Euritmia del possibile” e ancora “campo armonico cangiante, in movimento: probabile, immaginario”: potremmo ritenere quanto sopra espressioni pittoresche nonché eccentriche, non fosse che possiamo considerarci avvezzi alla fluviale capacità discorsiva del vibrafonista, esteta, autore ed insomma artista plurimediale Sergio Armaroli. A seguire una già nutrita serie di produzioni, ed in contemporanea ad ulteriori novità, peraltro […]

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SERGIO ARMAROLI
Vibraphone solo in four part(s)
Dodicilune dischi Ed 536
2023

“Euritmia del possibile” e ancora “campo armonico cangiante, in movimento: probabile, immaginario”: potremmo ritenere quanto sopra espressioni pittoresche nonché eccentriche, non fosse che possiamo considerarci avvezzi alla fluviale capacità discorsiva del vibrafonista, esteta, autore ed insomma artista plurimediale Sergio Armaroli.

A seguire una già nutrita serie di produzioni, ed in contemporanea ad ulteriori novità, peraltro molto diversificate, il presente “Vibraphone solo in four part(s)” lo vede per la prima volta concentrato sul proprio strumento a lamine, cui devolve una sorta di riflessione (se non di saggio), ed in cui non potremmo escludere anche una componente confessionale. “Il solo è anche una dimensione confessionale, di confessione ed introspezione, e per questo motivo chiedo una grande disponibilità e pazienza da parte dell’ascoltatore che è complice di questa mia solitudine e urgenza” come apprendiamo dal concorde commento di Armaroli.

Inoltre: “Un album in solo nasce sempre da una necessità molto personale, intima e privatissima; soprattutto dopo una ricerca più che ventennale attraverso e con il vibrafono, lo strumento che mi ha accompagnato in tutti questi anni e che meritava un focus speciale, un punto d’arrivo o meglio: un approdo momentaneo. Così nell’aprile passato, dopo un lungo periodo di studio e di solitudine, mi sono ritagliato una giornata solo per me con il mio vibrafono e nient’altro, quasi in un voler ‘mettersi alla prova’ – una prova di contatto e non di bravura s’intende, una prova di esistenza concreta e reale invece, partendo da una domanda fondamentale, dimenticando così tutto ciò che si è imparato nel tempo e semplicemente ‘stando’ con il proprio strumento: in solitudine”.

La quadripartita sequenza apre su un esteso passaggio (che da solo avrebbe conferito contenuto e ragioni ad un lato di un vecchio LP), per il quale le dimensioni introspettiva e confessionale, come nelle premesse, sembrerebbero calzanti ma non esaustive nel connotare tratti più estensivi e quanto meno polistilistici lungo una fluente esternazione idiomaticamente affrancata dai rigori rispetto ad un inquadrabile canone formale. È piuttosto al jazz ‘stricto sensu’, oltre che in parte old-fashioned, che penseremmo nella fruizione del secondo passaggio (#2), increspato da gorghi ritmicamente animati e spesso di tratto swingante. In parte sulla falsariga del precedente si articola il terzo passaggio (#3, o nuovamente anonimo) di passo più trattenuto ed in apparenza segnato da più ‘impasses’ di progressione, quasi una sessione onirica agitante.

Ancora di grande estensione il quarto e conclusivo passaggio (#4), aprente su una materia più acquea ma aggregantesi su trama aperta e con incedere ondivago, tornando a suggerire uno dei caratteri discorsivi e figurativi del Nostro quali la dimensione labirintica.

Dovessimo ricercare nella discografia all’incirca contemporanea una qualche analogia, il primo ricorso andrebbe pressoché naturalmente al ponderoso album “Maquishti” della vedette Patricia Brennan, ma se ne rileverebbero soluzioni ben distintive, e se nel più esteso programma della solista messicana predomina la diversificazione di mood, servita da ricerca nella coloristica spettacolarità, fino ad artifici elettronici, è palese e dominante nella prova in solo dell’artista milanese una dominante austerità e un differente investimento artigianale nel cimento con lo strumento, eminentemente auto-centrico e investente (come nelle note) su un articolato dialogo interiore, non potendosi escludere implicazioni, oltre che confessionali, auto-disciplinari ed auto-analitiche.

Ed è nei sensi di quest’ultima grande, anzi sterminata cultura che ancora torniamo alla dimensione del labirinto, di nuovo nelle parole di Sergio Armaroli: “Labirintico come conseguenza di un intrecciarsi di pensieri, atti, gesti… ma confesso anche di perdermi spesso nel labirinto, trovando soluzioni possibili anche se non credo di essere andato oltre un istinto che mi ha sempre accompagnato dall’inizio, unito a un piacere della ricerca e della scoperta dentro e con il suono. L’uscita dal labirinto è forse la soluzione, sempre rimandata ma attesa come uno stato quasi miracoloso di illuminazione sonora e spirituale. Per ritornare sempre a una dimensione più quieta, ragionevole, borghese come questa nostra conversazione … e la soluzione, se vuoi, è l’ascolto e il riconoscersi nel dialogo.”

 

Musicisti:

Sergio Armaroli, vibrafono

Tracklist:

01. Vibraphone solo in four part | #1
02. Vibraphone solo in four part | #2
03. Vibraphone solo in four part | #3
04. Vibraphone solo in four part | #4

Link:

Sergio Armaroli

Dodicilune Dischi

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ROBERTO OTTAVIANO & ALEXANDER HAWKINS | Charlie’s Blue Skylight https://www.soundcontest.com/roberto-ottaviano-alexander-hawkins-charlies-blue-skylight/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=roberto-ottaviano-alexander-hawkins-charlies-blue-skylight Sat, 20 Aug 2022 17:16:18 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=57050 Passato sia alla storia che alla leggenda tra i più influenti patriarchi del bop, operandovi al culmine e al tramonto del filone e cui apportò notevoli elementi evolutivi, e tra gli anticipatori del free, Charles Mingus incarnò anche una caratteristica parabola umana, segnata da una vitalità grintosa (giusto per edulcorare…) comprendente posizioni appassionatamente e ferocemente […]

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ROBERTO OTTAVIANO & ALEXANDER HAWKINS
Charlie's Blue Skylight
Dodicilune dischi ED531
2022

Passato sia alla storia che alla leggenda tra i più influenti patriarchi del bop, operandovi al culmine e al tramonto del filone e cui apportò notevoli elementi evolutivi, e tra gli anticipatori del free, Charles Mingus incarnò anche una caratteristica parabola umana, segnata da una vitalità grintosa (giusto per edulcorare…) comprendente posizioni appassionatamente e ferocemente anti-razziste, oltre a noti exploits caratteriali, giungendo a definirsi (con vezzo ed amarezza) “meno di un bastardo” in una sua colorita autobiografia.

Il carismatico contrabbassista permane insomma maiuscolo quanto problematico portatore d’umanità, che ha caricato (e rigettato) quasi ogni implicazione del suo tempo e che a tutt’oggi non si sottrae alla statura di modello, i cui contributi innovativi riescono oggi sfumati nella selva quanto meno babelica degli idiomi del jazz contemporaneo, ma lasciarono segni molteplici ed impulsivi nei tempi decisamente fondativi che egli contribuì a rivoluzionare.

Posto che la label salentina, in virtù del suo vastissimo catalogo, ha potuto enumerare una serie già consistente di incisioni tematiche, rievocative di diverse personalità storiche (si ricordano en passant Billie Holiday, Ornette Coleman, Bill Evans, Steve Lacy, Thelonious Monk etc.) nel caso specifico non trattiamo di una dedica con licenza spiccatamente re-interpretativa, ma piuttosto rileviamo una rievocazione in parte letterale dei materiali, e che nella sostanza s’esime da spregiudicate modernizzazioni. E sulla valutazione dei medesimi indichiamo più che andare a memoria, piuttosto un ascolto in parallelo con gli originali, che ne attesta di fatto un sostanzialmente rigoroso rispetto formale.

Foto di Luca d’Agostino

Si fugga il dubbio che l’intro di solo-sax (Canon) interpretato in sovraincisione dal soprano sia una pura licenza creativa, essendo una rilettura in parte imitativa dal brano originale, e più avanti i passaggi di piano-solo in forma apparente di liberali sketches riescono quali elaborazioni dei tappeti ritmico-melodici di riferimento.

Si capta lo spirito di partenza (dobbiamo giusto adattarci a rinunciare alla fremente parte solistica del contrabbasso e alla verve della brass-section) in Hobo Ho, rendendo ampia giustizia al brano tratto da “Let My Children Hear Music”; più libero il trattamento nel caso di Remember Rockfeller at Attica, in cui l’ancia adotta un’attitudine pensosa entro un serotino languore, e la parte pianistica piuttosto de-struttura la spedita concezione ritmica dell’originale.

Anticata verve anarcoide in Dizzy Moods, che conferisce un obliquo e caustico spirito ‘southern’ al carattere da music-hall del brano di partenza; l’articolazione e lo spirito discorsivo dell’iconica Pithecanthropus Erectus vengono riproposti, dopo le introduttive onomatopee, con spunto dialogico cui riescono parimenti contributivi l’assertiva e fluente linea di Roberto Ottaviano ed il dinamico istinto architettonico di Alexander Hawkins.

Foto di Luca d’Agostino

“Quasi” un incanto lacyano nel lirico attacco da Free Cell, Block F Tis Nazi U.S.A., sostenuto ancora una volta dalle nitide figurazioni del soprano, che disincarnano il marciante spirito del brano di partenza; molto calzante la scelta del conclusivo titolo (Us is Two), ballad intessuta su importanti increspature pianistiche, configurando uno dei più salienti momenti di “verità” del dialogo in musica.

La sinergia tra i talenti in oggetto non è nuova ma, dopo la comune dimensione in collettivo, era evidentemente tempo che il solido sassofonista e docente pugliese si cimentasse vis-à-vis con la nitida personalità del pianista-tastierista e orchestratore da Oxford.

Forte, il primo, di un’attività procedente in concretezza dagli anni ’80, dichiarato seguace della linea di Steve Lacy, pur rielaborata con modalità personali sui cui si riflettono le eterogenee produzioni a titolo sia collaborativo che personale e in buona parte una dominante cantabilità di spiccata impronta mediterranea. Della successiva generazione il talentuoso pianista britannico, ultimamente attivo in differenziate operazioni in ensemble, ma non nuovo alle esperienze duali e già firmatario di un esemplare solo-album, le cui ispirazioni spaziano tra Art Tatum a Thelonious Monk, che annovera nelle fila mingusiane antecedenti di peso come un Mal Waldron, ma di cui s’avvertono analogie pure con il modernismo di Cecil Taylor o Mariyn Crispell (e diversi passaggi anche del presente album ne daranno ragione).

Cavalicco, 09/06/2022 – Artesuono Recording Studio – Roberto Ottaviano & Alexander Hawkins – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus gency © 2022

Riteniamo che codesti materiali nel passaggio da studio a palcoscenico, come di regola, matureranno ulteriori punti di forza durante il relativo tour, partente proprio in questi giorni; per quanto dato valutare dalla fissazione discografica, il raffinato lavoro conferma il profilo di due individualità distinte, assortite ma sinergiche la cui (comune e contributiva) lettura dei materiali mingusiani riesce rispettosa in misura sia letterale che adattativa. Consci delle incombenze e delle implicazioni di libertà di ogni operazione rievocativa, la selezione qui proposta si smarca dalla dimensione dell’omaggio fine a sé stesso e, rilevando il diretto commento di Ottaviano: “Credo sia passata l’età degli “omaggi”, e l’omaggio migliore consiste nel far comprendere che il corpus compositivo e strategico, insieme al pensiero, di un artista vale ancora la pena di essere “usato”. Poi, ancor meglio se Alex ed io funzioniamo ad un livello alchemico”.

Si può concordare nella sostanza, ritenendo che il continuum vitale di una personalità non cessi al suo trapasso, rilevato quanto ne discenda nell’operato dei successori; prodotto di un difficile amalgama tra narcisismo e rabbiose prese di coscienza, il lascito mingusiano incorpora un ennesimo contributo, per il quale non focalizzeremo sul ‘senso’ di un’ulteriore riesposizione, quanto sul valore contributivo di una ponderata (ed aggiornata) neo-incarnazione.

 

Musicisti:

Roberto Ottaviano, sax soprano
Alexander Hawkins, pianoforte, Fender Rhodes

Tracklist:

01. Canon  3:02
02. Hobo Ho  3:51
03. Remember Rockfeller at Attica   4:39
04. Oh Lord, Don’t Let Them Drop That Atomic Bomb On Me  4:07
05. Dizzy Moods   3:59
06. Smooch A.K.A Weird Nightmare  7:52
07. Pithecanthropus Erectus   4:38
08. Free Cell, Block F Tis Nazi U.S.A.  5:29
09. Self Portrait In Three Colors  7:12
10. Haitian Fight Song  4:34
11. Us Is Two  5:15

All compositions by Charles Mingus

Link:

Dodicilune dischi

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FRANCESCO DEL PRETE | Cor Cordis https://www.soundcontest.com/francesco-del-prete-cor-cordis/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=francesco-del-prete-cor-cordis Thu, 25 Nov 2021 17:24:16 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=52782 “Cor Cordis” è l’ultimo lavoro discografico del violinista e compositore salentino Francesco Del Prete. Uscito per l’etichetta Dodicilune nel maggio 2021, è il frutto di una particolareggiata lavorazione ed un’attenta sperimentazione portata sapientemente avanti per buona parte dell’anno 2020, durante lo stop pandemico. La matrice portante, il jazz, incontra i ritmi mediterranei, aprendosi alla contaminazione […]

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FRANCESCO DEL PRETE
Cor Cordis
Dodicilune
2021

“Cor Cordis” è l’ultimo lavoro discografico del violinista e compositore salentino Francesco Del Prete.

Uscito per l’etichetta Dodicilune nel maggio 2021, è il frutto di una particolareggiata lavorazione ed un’attenta sperimentazione portata sapientemente avanti per buona parte dell’anno 2020, durante lo stop pandemico.

La matrice portante, il jazz, incontra i ritmi mediterranei, aprendosi alla contaminazione di genere, offrendo momenti più intimisti ed altri più sperimentali, mediante l’uso di sintetizzatore ed effetti elettronici.

Nove brani originali, che raccontano ciò che vive al di là della superficie delle cose e quello che si coglie a prima vista dell’essere umano per arrivare al “cuore del cuore”, superando quello che è percettibile ad occhio nudo e scoprendo, in questo modo, il microcosmo che ci circonda.

Il prorompente intro Gemini – segno zodiacale di Del Prete – apre il lavoro e ci trasmette il suono della sua terra di Puglia, che sprigiona tutta l’energia dei ritmi popolari, contaminati dagli effetti elettronici del suo violino a cinque corde.

Il trombone di Gaetano Carrozzo ci introduce a Lo Gnomo, che racconta musicalmente quella parte di noi che, imperfetta ed un po’ deforme, va alla continua ricerca della bellezza.

Ne Il Teschio E La Farfalla il violino alterna una modalità placida suonato con l’archetto ad un modus irrequieto con il pizzicato, trasmettendo tutta l’inquietudine di chi non sa se spaventarsi di più per l’abisso oppure per chi riesce ad osservarti dal di dentro, come fa la farfalla che liberamente svolazza nel teschio, passando attraverso le sue vuote orbite.

L’Alveare é il brano più strettamente jazz, connotato dai tocchi saltellanti sulla batteria di Diego Martino e dal ronzio delle api, riprodotto in maniera vincente dal sax soprano di Emanuele Coluccia.

Si medita poi in maniera intimista sui momenti oscuri che caratterizzano il percorso che compie la giustizia, per comminare la giusta punizione a chi sbaglia: il sintetizzatore di Filippo Bubbico ed il suono elettronico del violino ne descrivono il tormentato excursus ne L’Inganno Di Nemesi.

Acido Balkaniko, su tempi dispari, si apre al progressive ed al rock, attraverso gli incalzanti vocalizzi di Arele, nome d’arte di Laura Ingrosso.

In SpecchiArsi il dialogo tra il violino ed il violoncello di Anna Carla Del Prete, sorella del sideman, trasmette il senso di inquietudine che si prova quando si cerca di posizionare il proprio corpo fisico nello spazio, utilizzando come un sesto senso, senza l’uso della vista.

L’Attrice e Tempo sono due pezzi che cambiano mood durante la loro esecuzione: si passa infatti da toni più pacati e solari ad altri più nevrotici ed oscuri, che caratterizzano la vita di ciascuno: l’iniziale entusiasmo, man mano che si va avanti, va a virare verso un’ansiosa nostalgia.

Esclusivamente nella versione digitale del lavoro, si può apprezzare Lacci, il singolo che ha anticipato l’uscita del disco con un video ufficiale.

Un viaggio, questo, che punta alla riscoperta dell’essenza delle cose e che vi invitiamo a fare, apprezzando l’originalità di questo progetto musicale.

 

 

Musicisti:

Francesco Del Prete, violino acustico ed elettronico, effetti elettronici, loop station
Arale (Lara Ingrosso), voce
Anna Carla Del Prete, violoncello
Diego Martino, batteria
Emanuele Coluccia, sassofono soprano
Filippo Bubbico, synth
Gaetano Carrozzo, trombone

Tracklist:

01. Gemini
02. Lo Gnomo
03. Il Teschio E La Farfalla
04. L’Alveare
05. L’Inganno Di Nemesi
06. Acido Balkaniko
07. SpecchiArsi
08. L’Attrice
09. Tempo

Link:

Francesco Del Prete

Dodicilune

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“Cor cordis” è il nuovo disco del violinista e compositore salentino FRANCESCO DEL PRETE https://www.soundcontest.com/cor-cordis-e-il-nuovo-disco-del-violinista-e-compositore-salentino-francesco-del-prete/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cor-cordis-e-il-nuovo-disco-del-violinista-e-compositore-salentino-francesco-del-prete Wed, 26 May 2021 16:36:58 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=50125 Prodotto dall’etichetta pugliese Dodicilune, nella collana editoriale Controvento, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital, martedì 18 maggio esce “Cor cordis“, nuovo progetto discografico del violinista e compositore salentino Francesco Del Prete. Nove composizioni originali per scoprire ciò che vive oltre la superficie delle cose e […]

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Prodotto dall’etichetta pugliese Dodicilune, nella collana editoriale Controvento, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital, martedì 18 maggio esce “Cor cordis“, nuovo progetto discografico del violinista e compositore salentino Francesco Del Prete.

Nove composizioni originali per scoprire ciò che vive oltre la superficie delle cose e dell’essere umano e per andare al di là di ciò che l’occhio vede in “prima battuta” per approdare nel “Cor cordis”, il “cuore del cuore” del microcosmo che ci circonda. In alcuni brani il musicista, che alterna il violino acustico ed elettrico e si accompagna con loop station e suoni elettronici, è affiancato dalla voce di Arale – Lara Ingrosso, con cui condivide e cura anche la produzione musicale e artistica del disco, dal violoncello di Anna Carla Del Prete, dalla batteria di Diego Martino, dal sax soprano di Emanuele Coluccia, dal synth di Filippo Bubbico e dal trombone di Gaetano Carrozzo.

 

Il disco si apre con Gemini, la colonna sonora di una festa. «Gemini è il sud in piena estate. Gemini è una coppia che balla a piedi nudi tra la gente. Gemini, in latino, vuol dire “Gemelli”. Gemini è il mio segno zodiacale. Gemini sono Io», racconta Del Prete. A seguire Lo gnomo («quella parte di noi più deforme, irregolare, imperfetta, difettosa e di conseguenza alla continua ricerca della “bellezza”»), Il teschio e la farfalla (che «racconta di una farfalla che svolazza placidamente tra le orbite e le cavità vuote di un teschio, e si chiede in realtà chi tra i due faccia più paura: l’abisso oppure chi ci guarda dentro compiaciuto?») e L’alveare («un “capriccio”, che esprime la mia passione per determinati generi musicali, in questo caso il jazz in generale e l’hard-bop in particolare, con un richiamo sonoro allo sciame laborioso delle api»). L’inganno di Nemesi svela la falsità, l’imbroglio, la menzogna della dea greca della Giustizia, Nemesi appunto, sottolineandone l’utopia in una realtà come la nostra. «Nemesi distribuiva gioia o dolori a seconda di quanto fosse legittimo, garantendo perciò giustizia ai delitti irrisolti o impuniti e perseguitando soprattutto i malvagi». Acido balkaniko è, invece, il secondo “capriccio” del disco e testimonia, con approccio e linguaggio balcanici, la passione di Del Prete per i tempi dispari. Cor cordis prosegue con SpecchiArsi, brano che riflette sulla possibilità di ognuno di noi di riuscire ad avere o meno la propriocezione, quella capacità cioè di percepire e riconoscere, senza il supporto della vista, la posizione del proprio corpo nello spazio, «un sesto senso che, nella mia interpretazione, ci permette di preparare e trovare l’assetto necessario per affrontare situazioni difficili». L’attrice è l’immagine, rivelata senza fretta, di qualcosa di meraviglioso e straordinario che sarebbe potuto essere e che invece ha lasciato il posto a fantasmi di bellezza. «Melodia ed inquietudine si alternano e si compenetrano svelando gioie e dolori della vita, esperienze sensoriali inscindibili le une dalle altre». La traccia conclusiva, Tempo, è un inno all’inesorabile scorrere delle lancette, così ciniche nel loro incedere indifferenti all’essere umano.

Solo nella versione “digitale” il disco ospita un’altra traccia. Il singolo Lacci, che ha anticipato di qualche giorno l’uscita del disco disponibile anche su YouTube, con un videoclip diretto da Stefano Tamborino. “Lacci” parla di rapporti indissolubili costruiti nel tempo, vincoli e relazioni talmente forti da annullare e superare distanze e ineluttabili incomprensioni. Il brano – accompagnato da un videoclip nel quale il violinista in prima persona si esibisce con e senza violino a rimarcare l’intensità della connessione indipendentemente dalla presenza o meno dell’altra parte – narra di legami e collegamenti che si nutrono magicamente della stessa relazione, qualunque essa sia: un rapporto parentale, di amicizia, un amore travolgente e duraturo.

Francesco Del Prete inizia il suo percorso violinistico con gli studi classici per poi appassionarsi al mondo della musica etnica in generale e jazz in particolare, passioni che lo portano a ricercare sonorità inedite e modi alternativi di utilizzare lo strumento e di svelarne i lati nascosti anche attraverso l’utilizzo dell’elettronica. Da questa ricerca hanno preso vita i suoi tre principali progetti: “Corpi d’Arco”, per violino solo e pedaliere (il disco omonimo è stato pubblicato nel 2009); “Respiro”, originale duo elettro-pop violino e voce; “Francesco Del Prete Jazz Ensemble”, il cui primo disco, Colibrì, è stato pubblicato nel 2018. Il suo percorso musicale rievoca i nostalgici echi di un interminabile viaggio nella musica attraverso l’Italia, il Giappone, la Francia, la Grecia, la Germania, la Svizzera, la Slovenia, attraverso la sua più che variegata (proficua) collaborazione con: l’ensemble de La Notte della Taranta (al fianco di artisti del calibro di Stewart Copeland, batterista dei Police, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Piero Pelù, Teresa De Sio, Gianna Nannini, Ares Tavolazzi, Mauro Pagani, Vittorio Cosma, Franco Battiato, Ambrogio Sparagna, Giovanni Lindo Ferretti), Arakne Mediterranea, Nidi D’Arac, Manigold, Demotika Orkestar.

L’etichetta Dodicilune, fondata da Gabriele Rampino e Maurizio Bizzochetti è attiva dal 1996 e dispone di un catalogo di quasi 300 produzioni di artisti italiani e stranieri. Distribuiti nei negozi in Italia e all’estero da IRD, i dischi Dodicilune possono essere acquistati anche online, ascoltati e scaricati sulle maggiori piattaforme del mondo grazie a Believe Digital.

 

Spotify

https://open.spotify.com/album/6ketpITU4CwQsGte9Z6sMK?si=a19c4b8c1b034389

 

Track List

1 – Gemini / 2 – Lo gnomo / 3 – Il teschio e la farfalla / 4 – L’alveare / 5 – L’inganno di Nemesi /

6 – Acido BalKaniKo / 7 – SpecchiArsi / 8 – L’attrice / 9 – Tempo

 

Le composizioni sono di Francesco Del Prete

Music production a cura di Arale

 

Line up

Francesco Del Prete – violino acustico/elettrico, looper, elettronica

Arale (Lara Ingrosso) – voce (6, 9)

Anna Carla Del Prete – violoncello (7, 8, 9)

Diego Martino – batteria (2, 4, 6)

Emanuele Coluccia – soprano sax (4)

Filippo Bubbico – synth (5)

Gaetano Carrozzo –  trombone (2)

 

Info e contatti

Facebook.com/dodicilune – Instagram.com/dodicilune

Youtube.com (DodiciluneRecords)

www.dodiciluneshop.it

www.ijm.it

 

Dodicilune – Edizioni Discografiche & Musicali

Via Ferecide Siro 1/E – Lecce

0832091231 – info@dodiciluneshop.it

www.dodiciluneshop.it

 

Per richiesta foto, interviste, comunicati e copie dischi

 

Ufficio stampa per Francesco Del Prete

Fabio Lauteri / X-Beat – fabio@x-beat.it – 3333423867

Carlo Cammarella – carlocammarella80@gmail.com – 3204112178

 

Ufficio stampa per Dodicilune

Società Cooperativa Coolclub

pierpaolo@coolclub.it – press@dodicilune.it3394313397

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MATTEO BENEDETTI PICCOLE ONDE DODICILUNE / IRD https://www.soundcontest.com/matteo-benedetti-piccole-onde-dodicilune-ird/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=matteo-benedetti-piccole-onde-dodicilune-ird Tue, 02 Mar 2021 16:41:42 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=48553 Prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital, martedì 2 marzo esce “Piccole Onde” di Matteo Benedetti. Il progetto discografico nasce dalla volontà del pianista e compositore di affrontare e arrangiare in maniera eclettica il suo repertorio: quattordici composizioni che pescano a piene mani dallo chôro, dal samba, dal jazz, dalla fusion e […]

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Prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digitalmartedì 2 marzo esce “Piccole Onde” di Matteo Benedetti. Il progetto discografico nasce dalla volontà del pianista e compositore di affrontare e arrangiare in maniera eclettica il suo repertorio: quattordici composizioni che pescano a piene mani dallo chôro, dal samba, dal jazz, dalla fusion e dalla musica classica trovano piena realizzazione nell’interazione tra il pianoforte del leader ed il flauto traverso della concertista Sarah Rulli e le percussioni di Davide Bernaro, impegnato da sempre in progetti che coniugano musica etnica e colta. Un progetto acustico, dunque, dove i tre musicisti alternano lavoro di sezione e momenti solistici in un dialogo continuo che restituisce all’ascoltatore ogni sfumatura delle composizioni in un flusso esecutivo ricco di dinamiche e interplay, reso possibile dall’aver registrato il disco “live in studio”.
Autodidatta, Matteo Benedetti sin dall’adolescenza si dedica alla composizione. Ha suonato con varie formazioni di musica jazz. Ha realizzato due compact disc di sue composizioni, da lui interamente arrangiate con l’ausilio di sintetizzatori e strumenti elettronici. Negli anni novanta concretizza la sua innata vocazione alla composizione di musica per immagini. Collabora con il padre Massimo Benedetti al commento sonoro di documentari e cortometraggi, nonchè alla realizzazione delle colonne sonore del film “Il Generale” del regista abruzzese Dino Viani e del film “Il Trittico di Antonello” di Francesco Crescimone, che partecipa al 49° festival del cinema di Venezia. La colonna sonora di quest’ultimo ottiene il premio Nino Rota e, nel 1995, il premio nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, come miglior colonna sonora. Collabora con l’associazione teatrale abruzzese “Amici della Ribalta” realizzando il commento musicale per lo spettacolo “L’uomo, la bestia e la virtù” liberamente tratto dall’opera di Pirandello. Nel 2018 fonda l’associazione culturale MusArt assieme alla flautista Sarah Rulli. Con lei e con il percussionista Davide Bernaro realizza il progetto acustico “Piccole onde”, edito da Dodicilune: 14 composizioni originali suonate da pianoforte, flauto traverso e percussioni.

La flautista Sarah Rulli è una musicista eclettica, creativa, innovativa. Dalla classica al tango nuevo, dal barocco alla musica contemporanea, le sue performance sono cariche d’espressione, carattere ed eleganza. Originaria di Lanciano, ad oggi si è esibita in Italia, Germania, Austria, Belgio, Portogallo, Romania, Armenia, Georgia, USA, Cina e Corea del Sud, suonando presso Carnegie Hall, Palazzo delle Nazioni Unite, Sala Nervi, EXPO di Milano, Emilia Romagna Festival, Teatro Palladium di Roma.

Batterista e percussionista, Davide Bernaro è considerato uno dei massimi esperti del pandeiro (il tamburello brasiliano), ha suonato e registrato tra gli altri con: Gabriele Mirabassi, Silvio Zalambani & Grupo Candombe, Paul McCandless (Oregon), Michele Francesconi e Cristina Renzetti.

L’etichetta Dodicilune, fondata da Gabriele Rampino e Maurizio Bizzochetti è attiva dal 1996 e dispone di un catalogo di oltre 270 produzioni di artisti italiani e stranieri. Distribuiti nei negozi in Italia e all’estero da IRD, i dischi Dodicilune possono essere acquistati anche onl ine, ascoltati e scaricati sulle maggiori piattaforme del mondo grazie a Believe Digital.

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Esce LITTLE THINGS IN MANY THINGS di WALTER GAETA e DANTE MELENA https://www.soundcontest.com/esce-little-things-in-many-things-di-walter-gaeta-e-dante-melena/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=esce-little-things-in-many-things-di-walter-gaeta-e-dante-melena Wed, 10 Feb 2021 12:01:03 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=48155 WALTER GAETA – DANTE MELENA LITTLE THINGS IN MANY THINGS DODICILUNE / IRD Prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital, martedì 26 gennaio esce “Little Things in Many Things“, nuovo progetto discografico firmato dal pianista Walter Gaeta e dal batterista Dante Melena. Il disco propone nove brani: otto composizioni originali, nelle quali la felice vena […]

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WALTER GAETA – DANTE MELENA

LITTLE THINGS IN MANY THINGS

DODICILUNE / IRD

Prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digitalmartedì 26 gennaio esce Little Things in Many Things, nuovo progetto discografico firmato dal pianista Walter Gaeta e dal batterista Dante Melena. Il disco propone nove brani: otto composizioni originali, nelle quali la felice vena compositiva dei leader si sposa con l’eccellente statura artistica dei loro compagni di viaggio, e una sentita rilettura del brano “Ada“, omaggio al compositore e amico Alfredo Impullitti, prematuramente scomparso, ma mai dimenticato.

Il progetto scritto a quattro mani rivela un sound nuovo e accattivante con influenze che vanno dal Jazz al Funky. Walter Gaeta (piano, piano elettrico e arrangiamenti) e Dante Melena (batteria) sono affiancati dal sax di Gianluca Caporale e dal basso di Maurizio Rolli Emanuele Di Teodoro e in alcuni brani da Alex Sipiagin (tromba), Diana Torto (voce), Mauro De Federicis (chitarra elettrica), Jorge Gabriel Ro’ (tromba e flicorno) e Marco Salvatore (sax alto).

Diplomato in pianoforte e con studi di composizione, Walter Gaeta ha conseguito nel 2006 il Diploma Accademico di II livello in Musica Jazz con il massimo dei voti e lode presso il conservatorio “Santa Cecilia“ di Roma. Musicista dinamico e originale capace di esprimersi in un pianismo melodico, ritmico e autentico. Nelle sue composizioni unisce colori e linguaggi diversi creando spazi inesplorati in continua evoluzione. Imprevedibile e coraggiosa è la sua ricerca musicale. Ha inciso diversi cd, pubblicato sue composizioni e testi didattici. Ha collaborato con: Massimo Moriconi, Fabrizio Bosso, Max Ionata, Paolo Damiani, Thomas Sheret, Rachel Gould, Paola Lorenzi, Pedro Mena Peraza, Sherrita Duran, Cheryl Nickerson, Marco Tamburini, C. Arena, Kelly Joyce, Saba Anglana e tanti altri. Ha suonato in numerosi importanti festival da solista e con proprie formazioni in Italia e all’estero. Come arrangiatore e compositore si è sempre distinto arrivando in finale a Barga Jazz, Piacenza Jazz e vincendo il primo premio assoluto con il suo quartetto al concorso “Sound Track” di Foligno.

Dante Melena frequenta alcune fra le migliori scuole italiane ed estere (Saint Louis Jazz School, Jazz University Terni, C. P. M Siena, Drummers Collective New York) oltre a numerose Master Class. Attualmente svolge un’intensa attività didattica presso la scuola Civica di Vasto, la Nuova Scuola Comunale di Musica di Montesilvano, il Sound ville di Roma ed altre. Dal 2008 è docente di batteria dei Seminari “Gessopalena Jazz” organizzati dall’Associazione Musicale “Armando Manzi”. Dal 2003 al 2006 collabora con il chitarrista Gianfranco Continenza con il quale ha registrato “The past inside the present” disco realizzato con la collaborazione di Bill Evans & Scott Kinsey, prodotto dalla “Esc Records” inoltre collabora con Antonio Onorato, Sherrita Duran, con la quale ha registrato alcuni brani del CD “Compilation 2009” Kelly Joyce, Linda Valori e molti altri. Dal 2008 è endorser Pearl e Sabian.

L’etichetta Dodicilune, fondata da Gabriele Rampino e Maurizio Bizzochetti è attiva dal 1996 e dispone di un catalogo di oltre 270 produzioni di artisti italiani e stranieri. Distribuiti nei negozi in Italia e all’estero da IRD, i dischi Dodicilune possono essere acquistati anche online, ascoltati e scaricati sulle maggiori piattaforme del mondo grazie a Believe Digital.

Info e catalogo su:

www.dodiciluneshop.it

Dodicilune – Edizioni Discografiche & Musicali
Via Ferecide Siro 1/E – Lecce
Telefono 0832091231 – 3249817045
info@dodiciluneshop.it – press@dodicilune.it

Ufficio stampa
Società Cooperativa Coolclub
Piazza Giorgio Baglivi 10, Lecce
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EMANUELE SARTORIS | Il nuovo Stream https://www.soundcontest.com/emanuele-sartoris-il-nuovo-stream/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=emanuele-sartoris-il-nuovo-stream Mon, 14 Dec 2020 10:48:42 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=47342 Esponente della più fresca generazione dei pianisti nostrani, il torinese Emanuele Sartoris ha già messo a segno una personale discografia in veste individuale o di co-leader, ripartendosi tra una rivisitazione della formazione classica e un più franco investimento nella forma jazz, non mancando di partecipare anche a progetti discografici di fisionomia più ‘open’. Insomma, con […]

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Esponente della più fresca generazione dei pianisti nostrani, il torinese Emanuele Sartoris ha già messo a segno una personale discografia in veste individuale o di co-leader, ripartendosi tra una rivisitazione della formazione classica e un più franco investimento nella forma jazz, non mancando di partecipare anche a progetti discografici di fisionomia più ‘open’.

Insomma, con il Nostro è possibile per una volta orientare la conversazione muovendosi tra generi evidentemente non incompatibili, anzi comunicanti negli intendimenti del giovane pianista, che non equivoca sul doppio bagaglio formativo, classico-accademico da una parte, e devoluto alle forme di sintesi dall’altro. La conversazione muove anche dal commento al suo più recente, ambizioso e già celebrato lavoro discografico (“Totentanz: evocazioni lisztiane”, per Dodicilune) e, addentrandosi in un più generale approfondimento tecnico e storico, Emanuele Sartoris ha affrontato con noi una disamina pressoché estensiva tra eterogenee problematiche, proponendo una propria concezione di sintesi stilistica: insomma, il proprio “Stream”.

 

 

Emanuele Sartoris, classe 1986: per chi non lo conoscesse

Lo definirei un pianista e compositore dotato di fervida immaginazione.

 

Il pianoforte: storia e scienze applicate

Intendo la tecnica pianistica come il miglior elemento espressivo a disposizione di un improvvisatore. La tecnica è veicolo, non fine, un veicolo privilegiato che obbliga a confrontarsi quotidianamente con nuovi problemi da risolvere per la propria mano, solo così è possibile superare i limiti fisici che si presentano naturalmente in quanto esseri umani. La storia del pianoforte è legata a doppio filo alle innovazioni tecniche, che spesso sono state abbinate alla nascita di nuove correnti stilistiche, fin dall’intuizione del passaggio del pollice applicata da Johan Sebastian Bach, passando per le futuristiche ed esplosive sonorità beethoveniane e proseguendo con la tecnica romantica degli insuperabili Chopin e Liszt.

Nel mio percorso ho sempre curato con particolare dedizione l’aspetto tecnico, come ancora quotidianamente, e vedo nello studio dei meccanismi strumentali la possibilità di progressi inimmaginabili. trovo sterile ed inefficace l’idea che le combinazioni tecniche strumentali siano esaurite, più ci penso e più realizzo che tutto è in evoluzione e tutto cambia a patto che si abbia il desiderio di non accontentarsi della grandezza del passato. Io prediligo immaginare e credere nel futuro, poggiando la mia continua ricerca, il mio continuo studio sulle solide fondamenta delle scoperte del passato. Se si smette di cercare è finita, e vari esempi rendono ai miei occhi lampante come sicuramente la scrittura, spesso, sia figlia di ore di improvvisazione sullo strumento. Sono noti i commenti sulla potenza al pianoforte di Beethoven, ma cosa sarebbe oggi se Beethoven non avesse osato o non avesse ricercato una nuova potenza sonora tanto da guadagnarsi l’etichetta di “distruttore di pianoforti”? Per non parlare del cantato e degli infiniti gradienti di pianissimo dei quali Chopin si fregiava, a ragione, di avere un magistrale controllo. Anche gestire un “pianissimo”, controllare la cantabilità delle note sono aspetti tecnici, ben più difficoltosi da risolvere ed interiorizzare rispetto alla velocità sullo strumento. Ai miei occhi nulla è definitivo, e detto questo l’approccio ideale sarebbe generare buone idee e non mostrarsi al mondo come figli della sterile imitazione di chi è venuto prima di loro.

Come dialogano i differenti generi in arte e in musica?

Non ho mai apprezzato la divisione tra generi musicali, tuttavia è nella norma della natura umana trovare caratteristiche utili ad etichettare. Forse dico questo perché ho sempre percepito l’appartenere alla categoria dei jazzisti, rispetto ai musicisti classici, come se fosse considerato agli occhi del mondo qualcosa di meno. Converrebbe abbattere la barriera e proporre un’offerta diversa anche a livello formativo nelle accademie, essendo anacronistico a mio avviso che nel 2020 si continui a pensare di essere un pianista “classico” o “jazz”: l’unica cosa che si può pensare è di essere un buon o un pessimo pianista. Ad oggi i generi in ambito musicale spesso non dialogano, mentre è più semplice pensare ad un dialogo tra arti diverse: musica e pittura, musica e letteratura, tanto per citare degli esempi anche troppo sfruttati. I diversi generi dovrebbero guardare nella stessa direzione con l’obiettivo comune di superare se stessi. Le figure professionali di oggi che lavorano come pianisti spesso sono fuori da etichette, in particolar certi pianisti di grande successo, talvolta rubando a necessità da tutti i generi in cui percepiscono di poter trovare qualcosa di utile alla loro espressività: essere etichettati entro una categoria non conta quanto avere idee adatte a superare l’idea stessa di genere e stile.

 

Entro una etichetta eminentemente (ma non esclusivamente) votata al jazz sono stati proposti “I Nuovi Studi” (album d’ispirazione classica per cui sono stati scomodati Gunther Schuller e la corrente Third Stream): come sono stati preparati i materiali?

“I Nuovi Studi” sono figli di una ricerca tecnica e sonora che intraprendo con costanza quotidianamente per ore ancora oggi. Il mio desiderio è quello di essere consapevole il più possibile delle capacità espressive del mio strumento forzandomi di capire quali sono quelle che utilizzo meno, se ce ne siano di nuove che potrei intraprendere e se abbia senso e possa essere utile alla mia espressività qualsiasi nuovo ingegno tecnico scovato. La quotidianità e uno studio costante, come se recitassi un mantra, sono l’humus in cui fioriscono le piccole nuove scoperte a cui mi affeziono, spesso si tratta di cose utilizzate da tutti e che semplicemente io non sfruttavo, altre volte riscopro particolari sonori che appaiono meno battuti. Ogni nuova scoperta mi infiamma per trovarne un’altra, e rimango sempre molto colpito rispetto a quanto nella pratica quotidiana emergano aspetti o punti di vista nuovi, anche banali, ai quali semplicemente non avevo fatto caso perché il mio sguardo mirava in un’altra direzione. Il risultato innovativo per la mia tecnica è che questi studi prevedono come piano di lavoro l’improvvisazione, elemento di freschezza ed imprevedibilità che non era mai stato preso in considerazione fino ad adesso: grazie a questo aspetto ho trovato nella forma dello “Studio” il terreno adatto a creare qualcosa di innovativo e particolarmente utile al mio percorso. “I Nuovi Studi” non è solo un disco ma, ancora oggi, materia in continua evoluzione che mira più al futuro che al presente.

 

ll “pianoforte a quattro mani” ha già una tradizione sua. Posto che il partner non è mai un gemello, perché e come applicare ciò all’ultimo “Totentanz”?

In particolar modo in questo caso il partner non è un gemello: anzi, è l’opposto! Massimiliano Génot è, tout court, un pluripremiato pianista classico abituato ad essere impeccabile esecutore della lunga e granitica tradizione classica. L’opposto del mio essere jazzista improvvisatore. Tuttavia entrambi abbiamo una visione del nostro mondo aperta e, volendo, anche intollerante rispetto ad una serie di tradizioni che non apprezziamo ma che si sono cristallizzate nel tempo in entrabi i settori. Génot è stato presso il Conservatorio di Torino per anni mio insegnante di pianoforte classico, mi ha insegnato con enorme pazienza i segreti della tecnica classica portando la mia capacità espressiva e la solidità della mia mano molto oltre al livello che avevo in precedenza. A sua volta Massimiliano è sempre stato incuriosito dagli improvvisatori cimentandosi a sua volta con grande creatività nel jazz. Da questo incontro di ormai tanti anni fa è nato il nostro duo, uno scambio continuo in cui ognuno fa il massimo nel genere che rappresenta ma senza accontentarsi supera costantemente il confine, sia Massimiliano che il sottoscritto improvvisiamo di continuo, da soli e a quattro mani. Il Totentanz è il risultato di un anno e mezzo di lavoro settimanale in cui ci immaginavamo con il naso nella parte e le mani sul pianoforte dove poter improvvisare, spesso seguendo le tracce modernissime lasciateci dallo stesso Franz Liszt, spesso anche forzando la mano per rendere ancora più moderno quello che l’autore proponeva in embrione nell’originale. Il Totentanz, già quando Liszt stesso l’ha scritto rimaneggiandolo e variandolo più volte, era un’opera che poteva essere percepita come un qualcosa in continua evoluzione, noi abbiamo semplicemente dato voce a quello che ci sembrava emergere in maniera traboccante nella parte. Il risultato è uno scambio tra pianisti di differente provenienza che in maniera univoca mirano a scardinare quello che nella tradizione dei rispettivi settori non apprezzano. Il Totentanz sembra essere stato il giusto veicolo per poterlo fare.

Torniamo ad un nostro tormentone privato, sui “grandi classici popolarmente fraintesi”: condividi il concetto che la popolarizzazione può nuocere al corretto inquadramento e alla comprensione di grandi autori e modelli?

Storicamente molti aspetti della musica e del successo della stessa vanno legati alla popolarità e al favore che la massa le riserva. Il problema del “popolarmente frainteso” a mio avviso è legato alla scarsità di conoscenze ed esperienze di ascolto di cui il pubblico è affetto, ma applicherei questo concetto alla maggior parte delle arti, non solo la musica. Percepisco intorno a me una recessione culturale, il desiderio di conoscenza e di approfondimento non sembra adeguati, ma non voglio scagliarmi contro la conoscenza prêt-à-porter fruibile in internet perché la trovo spesso utile ed istantanea per potersi informare. Il successo di qualcosa di mediocre tra la massa è dovuto ad una scarsa educazione della stessa ma soprattutto allo spegnersi del desiderio di alzare la qualità di ciò di cui si fruisce in ambito culturale. Ci sono oggi autori inaccettabili che godono di grandissimo successo, ma dubito dell’autorevolezza di chi ne decreta la grandezza: sapere che Chopin è autore dei più celebri Notturni ma non degli impegnativi Studi, come non sapere che Bach è l’autore del Clavicembalo Ben Temperato è a mio avviso piuttosto grave. Il popolo può aver abbassato l’asticella culturale ma di certo, inteso come entità omogenea, non è stupido. Prima o poi le false attribuzioni o i fraintendimenti inizieranno a diventare fonte di vero imbarazzo e l’asticella salirà. In alcuni casi, come quello legato a Chopin, la gran parte delle persone si sono concentrate solo sulla punta dell’iceberg: i Notturni con frasi melodiche d’eccellenza e proposte armoniche innovative apparentemente semplici. Qui risiede parte della grandezza, anche educativa, di Chopin: saper far passare qualcosa di complesso innovativo e ricercato come apparentemente semplice. In parte questa è una soluzione, così come lo è stato per Bartók; l’utilizzo di danze popolari per attirare le orecchie delle persone ma nel contempo comunicare e sperimentare qualcosa di totalmente nuovo con un inarrivabile valore culturale. Sono comunque fiducioso nell’umanità, i tempi cambieranno ed anche il valore che si darà all’arte ma probabilmente sarà un cambiamento che noi non vedremo.

 

Forse qui entrano in gioco anche elementi psicologici o fattori cognitivi: potrebbero essere d’aiuto la didattica o i media?

Sicuramente, la didattica ed il modo di supportarla sono determinanti per accrescere le fila degli ascoltatori e renderli consapevoli. A mia volta sono un’insegnante di musica, ed è un ruolo che amo esattamente come stare sul palco. Purtroppo ho sperimentato sulla mia pelle pessimi ed ottimi docenti, questo mi ha permesso di rendermi responsabile di fronte agli allievi e determinare autonomamente l’importanza che ha il ruolo dell’insegnante, nel bene e nel male, sulla crescita delle generazioni future. Spingere alla curiosità nell’ascolto e al desiderio di rendere più consapevoli gli ascoltatori e pianisti sono gli obiettivi dei miei corsi. I media a loro volta sono importanti, le trasmissioni di approfondimento culturale in tv sono davvero poche, le riviste di settore stanno scarseggiando e faticano a rimanere aperte. Andrebbero incentivate trasmissioni non limitate al solo aspetto musicale, toccando tutte le arti e promulgando l’idea per cui la cultura non è un accessorio, ma l’unica via per vivere in maniera più consapevole la propria esistenza.

Pur partendo (anche) dal jazz, ne abbiamo parlato poco. Dunque …

Il Jazz è un principio, quello legato in particolar modo alla libertà di espressione. Nonostante la mia recente direzione ho registrato in passato dischi più mainstream e vicini al jazz tradizionale, come con la resident band di Nessun Dorma, i Night Dreamers. In questo caso le mie composizioni mirano al duplice obiettivo di rappresentare ciò che facciamo in Rai, che solitamente è più mainstream e televisivo, unendolo ad una scrittura più aperta. Il Jazz rimane un importante riferimento di studio, conosco bene gli standard, gli autori e la tradizione, ma cerco di non essere vittima dello stile di nessuno, pur idolatrando autori come Keith Jarrett e Bill Evans. Credo che la musica, per sua natura, debba prefissarsi l’obiettivo di guardare avanti e mirare necessariamente al nuovo ed al futuro. Cosa sarebbe del jazz odierno se Charlie Parker avesse scelto di suonare esclusivamente in maniera tradizionale imitando Coleman Hawkins, o se Bill Evans avesse scelto di proseguire la strada (già avveniristica) introdotta da Bud Powell? Il jazz sta nelle idee e nella libertà dettata dall’improvvisazione, tutto il jazz che è venuto prima va studiato e conosciuto perché sia la spinta giusta verso il futuro: in parole povere Il jazz resta il riferimento cardine di tutto ciò che faccio.

 

Hai partecipato alla formula (piuttosto basilare) del piano trio jazz, o con quali intenti o contributi vorresti praticarla?

Ad oggi non ho un progetto con il classico piano trio formato da contrabbasso e batteria, devo ammettere che percepisco ciò come il mio habitat naturale ed è forse il contesto in cui mi muovo meglio: penso sia proprio questo il motivo per cui non ho un trio. In questo momento trovo più interessante esplorare il suono in formazioni piccole o di natura differente come il trio con Massimo Barbiero ed Eloisa Manera. Se poi penso al duo con il contrabbassista Marco Bellafiore, la presenza di un batterista risulterebbe addirittura superflua. Senza batteria abbiamo una capacità esecutiva più ampia e mano tradizionale, c’è modo di ascoltarsi e mantenere un sincero interplay senza preoccuparsi di altri al di fuori di noi due. Non escludiamo di accogliere un batterista nel nostro duo, ma è talmente intimo un tale risultato che probabilmente passerà ancora del tempo prima di diventare un trio o forse non accadrà mai: è anche vero che accoglierei una batteria che sovverta ruoli e gerarchie per sperimentare qualcosa di differente, vorrei che fosse una situazione libera profonda ed intima, pur sapendo sfruttare i canonici ruoli se si scegliesse di farlo.

 

Inevitabile un discorso sulla fusion; prendendo a prestito uno dei tuoi titoli e tornando al citato Third Stream, quale sarebbe una tua ricetta – insomma: il tuo nuovo Stream?

In realtà non ho una ricetta, ciò che conta per me in questo tipo di operazioni è evitare il “jazzetto” alla Jacques Loussier o simile a certi esperimenti di Dave Brubeck, ho letteralmente il terrore di poter essere accostato idealmente a tentativi così. Non vorrei essere frainteso, per l’epoca erano di certo innovativi e a loro volta sperimentavano mischiando dichiaratamente la ritmica stereotipata del jazz alle forme della musica classica, spesso prendevano solo i temi e poi usavano altre forme per improvvisare, ma non ho mai trovato profondità in questi progetti, non mi hanno mai fatto emozionare.

Nel lavoro con Génot e prima nei “I Nuovi Studi” la forma rimane elemento centrale del progetto. Per evitare che queste operazioni sulle partiture classiche possano risultare pacchiane e senza alcuna profondità, trovo determinante rispettare la parte originale ampliando le zone in cui si percepisce che l’autore avrebbe volentieri improvvisato, non solo le cadenze, ma laddove viene proposta più volte una variazione con la stessa griglia armonica, come se già si trattasse di uno standard. Lo stile improvvisativo applicato può essere storico immaginando come l’autore  avrebbe suonato liberamente, e questo risultato è frutto di un’analisi attenta degli scritti e degli stili degli autori presi in considerazione, oppure può contenere la modernità dei sistemi improvvisativi adottati oggi.

In realtà credo che potrò dare una ricetta accettabile, se l’avrò trovata, sul finire della mia vita.

Si può anche intendere il disco come “biglietto da visita” o estensione dell’esperienza concertistica: c’è dell’altro? (anche considerato il mercato odierno).

Vivo il disco come una fotografia dello stato e della situazione artistica in cui mi trovo in un determinato momento storico, e cerco sempre di far sì che si tratti più che di un biglietto da visita della rappresentazione e cristallizzazione delle nuove idee che ho portato a segno nel mio pensiero, per questo quando ne realizzo uno sto già pensando a cosa verrà dopo, proprio perché si tratta di un tassello che mi permette di poter fotografare lo stato attuale delle cose per poter prevedere il futuro. Chiaramente spesso rappresenta l’attività concertistica, in qualche modo ne fa parte e ne è la quintessenza. Ad oggi fare dischi è molto complesso, e val la pena recarsi in studio solo se si è consapevoli di ciò che si sta facendo. Il mercato odierno ha visto calare drasticamente le vendite dei dischi, e realizzarne per vendere, valutando che non considero questo successo come un obiettivo, sarebbe un punto di partenza sbagliato. Io faccio un disco se ho la presunzione di avere qualcosa da dire, altrimenti taccio. Forse poi il disco diventa un biglietto da visita per come viene valutato all’esterno, per esempio dalla critica, ma appunto non sta a me parlarne.

 

Valore dei Social e investimento sui medesimi.

Ad oggi utilizzo Facebook esclusivamente per fini lavorativi, idem con Instagram. Non sono un grande cultore dei social, anzi, tuttavia mi rendo conto che non utilizzarli sarebbe anacronistico e perfino stupido. Non vorrei esser frainteso, anche io sono vittima della vanità di pubblicare qualcosa che mi rappresenti, dando spesso un contentino al mio ego, ma mi rendo conto che i social hanno anche il limite di essere la vetrina di tutto e di tutti, questo spesso infila tutti nello stesso calderone, professionisti e non. Non ci investo se non del tempo ma capisco l’importanza che hanno e mi affilio per far sì che mi siano utili per l’attività che svolgo.

 

Nord-ovest, Piemonte, Torino in musica: incontri, e rituali.

Torino è una città effervescente dal punto di vista musicale, in particolar modo per quanto riguarda il jazz. Sono moltissimi i locali e le rassegne che si occupano di improvvisatori, questo aiuta lo sviluppo di una realtà locale di artisti in continua crescita, in settimana sono moltissime le serate dedicate e da questo punto di vista è una fortuna viverci perché ogni qualvolta si porta a segno un nuovo progetto non mancano le occasioni, anche prestigiose, di poterlo presentare e poterci lavorare. I musicisti e colleghi che frequento io non sono strettamente legati alla città di Torino, per esempio Ivrea è un centro molto vivo dal punto di vista artistico e con organizzatori di festival, nella fattispecie anche musicisti riconosciuti a livello internazionale, con cui collaboro con entusiasmo e che sono la giusta spinta creativa e culturale per questi territori. Insomma, non posso lamentarmi.

 

Cronache dalla pandemia.

La pandemia è stata chiaramente segnante, un momento storico unico al quale avrei, come tutti, fatto a meno di assistere, tuttavia non si può decidere quale evento stravolgerà le esistenze e non si può stabilire di evitarlo, per questo si accetta e si va avanti. Sono abituato ad uno stile di vita molto fitto ed organizzato tra studio, lezioni e concerti, veder venire a meno tutto di colpo è stato chiaramente, come per tutti, traumatico. Non ho perso tempo, appena ho compreso che si sarebbe rimasti chiusi in casa ho provveduto ad ordinare spartiti che non avevo mai approfondito e mi sono dedicato ad un intenso studio quotidiano a testa bassa senza pensare ad altro. Il periodo è stato utile alla progettazione delle attività future, e rimanere sul pezzo mi ha permesso di ripartire senza traumi da dove avevo lasciato, quando possibile. Prima, durante e dopo il lockdown sono per altro usciti molti dischi che mi hanno visto co-protagonista o ospite, come “Woland” con Massimo Barbiero ed Eloisa Manera o il recente “Totentanz” a quattro mani con il precedentemente citato Massimiliano Génot, questo mi ha tenuto costantemente in attivo obbligandomi a non perdere i contatti con il lavoro quotidiano. Sono chiaramente saltati molti concerti ed è stato naturalmente, come per tutti, destabilizzante e la normalità ritrovata nei precedenti mesi mi ha portato entusiasmo, nonostante la complessità dei nuovi ritmi che è necessario reggere per non perdere il controllo del susseguirsi degli eventi.

 

Una risposta (o un aforisma) a piacere.

“L’avvenire risiede nelle idee”.

 

Credits:
Valerio Averono Ph

Link:
Emanuele Sartoris

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GIANNI LENOCI TRIO | Wild Geese https://www.soundcontest.com/gianni-lenoci-trio-wild-geese/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gianni-lenoci-trio-wild-geese Sat, 31 Oct 2020 12:17:49 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=46529 È con deferenza che ci si accosta a questa registrazione, testimonianza e involontario làscito del precocemente scomparso pianista pugliese Gianni Lenoci, che la inattesa e precoce dipartita ha collocato di diritto tra le leggende, ma non per questo l’esperienza del presente ascolto potrà dirsi avvantaggiata da “rendita” alcuna. Il postumo album, uscito ad un esatto […]

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GIANNI LENOCI TRIO
Wild Geese
Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali ED448
2020

È con deferenza che ci si accosta a questa registrazione, testimonianza e involontario làscito del precocemente scomparso pianista pugliese Gianni Lenoci, che la inattesa e precoce dipartita ha collocato di diritto tra le leggende, ma non per questo l’esperienza del presente ascolto potrà dirsi avvantaggiata da “rendita” alcuna.

Il postumo album, uscito ad un esatto anno dalla costernante dipartita, si fonda su tracce di scrittura di due capiscuola, molto diversi peraltro, del jazz moderno alternando in scaletta brani di Ornette Coleman e di Carla Bley, oltre ad un’incursione nel repertorio autoriale di Gary Peacock.

 

Materiali che maestosamente esordiscono nell’apertura di And now, the Queen, ove la traccia melodica è agita in forma di plastica trance, ad esempio delle peculiarità di preparazione e soundscape che ulteriormente puntualizzano la consolidata maturità idiomatica del Nostro, che in questa intensa ed esemplare sessione in presa diretta si giova dell’organica interazione di virile prestanza del contrabbasso di Pasquale Gadaleta, completandosi nell’istantanea intesa con le animate carpenterie del notevole drummer Rakalam Bob Moses.

Grande carattere ed intensa strutturazione lungo le pagine successive, per sintesi passando dalla fluenza increspata della bleyana Vashkar, le africaniste tessiture percussive e l’ardita obliquità di passo nella colemaniana Sleep talking, l’antifonale contemplazione in Olhos de gato, le virulenze free della peacockiana Moor, trattando nel finale l’arcinota Ida Lupino di Bley in guisa di livido lirismo, nell’arco di un ascolto avventuroso che ulteriormente risalterà grazie alla vivida ripresa sonora, che ottimamente serve la giornata di tre anni fa in studio presso la natìa Monopoli, suggellando nell’ultima sessione di sala la parabola esistenziale e creativa di un talento che riesce e risalta ulteriormente impressionante per inventiva e sensibilità.

 

Non solo fatalmente, ma anche a ragione dell’ascolto, potremmo considerare come “definitiva” una così intensa performance, in cui poco o nulla ci viene taciuto della visione progettuale così come del pianismo articolato e sapiente, concreto ed insieme “veggente”, di scavo scultoreo di Gianni Lenoci, potendo concordare con le note introduttive nell’imbatterci con il presente lavoro almeno in una “una mirabile sintesi di scienza e arte, di armonia e melodia”.

Si trae un titolo insieme criptico ed ispirato dal poema “Wild Geese” di Mary Oliver, cui si adatta la suggestiva immagine di copertina, per la quale è difficile pronunciarsi se rappresenti un passaggio crepuscolare o tenda a forti (ma non inopportune) ambizioni metafisiche, a concisa sintesi visiva di un prezioso programma, da cui ci congediamo con la medesima deferenza dell’approccio.

 

Musicisti:

Gianni Lenoci, pianoforte
Ra Kalam Bob Moses, batteria, percussioni
Pasquale Gadaleta, contrabbasso

Tracklist:

01. And now, the Queen
02. Job mob
03. Vashkar
04. Sleep talking
05. Olhos de gato
06. Latin genetics
07. Moor
08. The beauty is a rare thing
09. Ida Lupino

Link:

Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali

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